“Siamo figli delle stelle: siamo fatti degli stessi elementi chimici dell’universo”
Premessa
Se sei una persona AM , una persona che ama le cose semplici, classiche, tradizionali, questo articolo è un po’ troppo esoterico per te, ti consiglio di spizzicare altrove.
Se invece sei un vero PM che ama le cose scientifiche, soprattutto se sono oggettivabili e visibili agli occhi di tutti, se sei uno di quelli insomma che credi solo se vedi, come San Tommaso, questo articolo ti risulterà eccessivo e fuori luogo per comprendere i meccanismi scientifici di funzionamento del corpo umano. Scappa via perché questo lungo testo probabilmente ti sembrerà solo un cratere di enormi corbellerie. D’altra parte questo articolo è il risultato per una parte, di una scopiazzatura in rete, condita con un franco pensiero del sottoscritto.
Ma se al contrario hai in te della PA, questo articolo potrebbe avvalorare alcune delle tue credenze su cui basi il tuo lavoro “sottile” ed energetico in studio. Con moderazione, però, attenzione.
“Distanti ma uniti”
Poche cose avrebbero potuto infastidire Albert Einstein quanto il refrain consolatorio delle settimane di questa dannata quarantena. Oltre a essere un incoraggiamento, “Distanti ma uniti” potrebbe infatti benissimo essere il payoff di uno dei brand più affascinanti della fisica quantistica, disciplina verso cui lo scienziato nutrì un complesso “odi et amo”.
Battezzato sotto il nome di entanglement da Erwin Schrodinger, Nobel nel 1933 per i suoi fondamentali contributi alla rivoluzionaria meccanica che avrebbe mandato al manicomio molti newtoniani, l’ipotesi di un intreccio in grado di tenere unite due particelle anche a miliardi di anni luce di distanza è una di quelle congetture che Einstein non è mai riuscito a mandar giù. Si tratta di un’idea così scandalosa da inquietare persino chi, come lui, tempo e spazio li ha completamente rivoluzionati.
Se sono qua non posso essere là
Se tra due particelle c’è di mezzo l’universo e ciononostante riescono a comportarsi come se fossero unite, il tempo e lo spazio non sono né assoluti e né relativi. Tempo e spazio non sono più e basta. Pensaci un po’, se per qualche strana ragione venissimo a scoprire che esiste una forza in grado di garantire effetti istantanei su oggetti distanti miliardi di chilometri, che senso avrebbe parlare di distanza? Non solo, se due particelle potessero agire come se fossero una verrebbe meno anche il principio di località, quel fenomeno per cui se io sono qui non posso essere al tempo stesso anche da un’altra parte. Un gran bel casino.
Due oggetti, pensa Einstein, devono invece essere sempre distinguibili: particelle che si trovano agli estremi dell’universo non possono essere immediatamente connesse. Se lo sono, devono esserci dei punti intermedi a dare corpo alla connessione. Due particelle distanti non possono essere unite. L’entanglement non è ammissibile. Secondo lui queste “spooky actions at a distance”, “inquietanti azioni a distanza”, non possono avere cittadinanza nell’universo. Le esperienze della fisica quantistica avrebbero invece dimostrato il contrario. La cosa interessante tuttavia non è questa, non è l’“errore” di Einstein, la cosa interessante è il fatto che a instillare questa inquietudine nel cuore delle cose è stato proprio lui, Einstein.
L’elemento più sorprendente ed intrigante che emerge dal formalismo quantistico sta nel fatto che le particelle subatomiche sono in grado di comunicare tra di loro informazioni in modo istantaneo, in altri termini sono connesse in modo non-locale.
Basi storico-scientifiche delle fregne quantistiche
Riguardo al fenomeno della non-località, tutto è iniziato a partire dalla pubblicazione nel 1935 da parte di Einstein, Podolski e Rosen, di un famoso articolo dal titolo “La descrizione quantistica della realtà può considerarsi completa?” in cui è stato sviluppato quello che è poi stato chiamato il paradosso, o meglio, argomento EPR (dalle iniziali dei tre autori). Consideriamo due particelle A e B che hanno condiviso una particolare esperienza di accoppiamento alla loro nascita e che poi vengono allontanate e portate in estremi opposti dell’universo; allora, in base al formalismo della meccanica quantistica, se ad un certo istante effettuiamo una misura sulla particella A, è possibile conoscere istantaneamente lo stato della particella B, a prescindere dalla distanza che c’è tra di esse.
Il paradosso EPR era, in realtà, una critica di Einstein all’idea che la meccanica quantistica sia una teoria completa nel descrivere la natura. I fisici hanno cercato di spiegare questo fenomeno assumendo che ci sia una sorta di "messaggero" che parte dalla particella A per raggiungere la particella B e informarla di assumere un certo comportamento. Ma l’informazione arriva istantaneamente e quindi l’idea di un ipotetico messaggero non solo non funziona, ma sembra avere poco senso.
Le correlazioni non-locali tra particelle subatomiche che caratterizzano esperimenti di tipo EPR risultano essere inspiegabili e incomprensibili all’interno di uno schema classico. Fenomeni di questo tipo hanno tuttavia trovato una loro compiuta spiegazione e formalizzazione in un noto teorema dimostrato nel 1964 dal fisico irlandese John Stewart Bell (che è considerato da molti esperti nel campo dei fondamenti concettuali della meccanica quantistica come il più importante recente contributo alla scienza): “Quando due particelle sono emesse in direzioni opposte e le proprietà di una di esse sono attualizzate da una misurazione, le proprietà dell’altra particella – anche esse misurate – saranno correlate indipendentemente dalla distanza che le separa”. La dimostrazione del teorema di Bell implica che un’esperienza avvenuta nel passato tra due particelle subatomiche crea tra di esse una forma di "connessione" per cui il comportamento di ciascuna delle due condiziona in modo diretto ed istantaneo il comportamento dell’altra a prescindere dalla distanza che c’è tra di esse.
L'esempio migliore è quello del plasma. Se prelevi il tuo sangue, lo metti in due provette, una la porti in Nuova Zelanda, poi tratti con fotoni quella in Italia. La reazione che rilevi nelle due fiale è identica e in contemporanea
Grosso modo possiamo dire che due particelle “entangled” nascono da uno stesso evento e vengono descritte da un'unica funzione d'onda quantistica. Quindi, con una misura (osservazione) su di una, si fa collassare la loro comune funzione d'onda e l'altra collassa, di conseguenza, anch'essa su un valore correlato. Vi sono vari eventi in cui si possono originare particelle correlate, per i fotoni i più conosciuti sono il decadimento atomico e la fluorescenza parametrica.
La realtà intesa come universo olografico, dovrebbe contenere ogni singola particella subatomica che sia, che sia stata e che sarà, nonché ogni possibile configurazione di materia ed energia, dai fiocchi di neve alle stelle, dalle balene grigie ai raggi gamma. Dovremmo immaginarlo come una sorta di magazzino cosmico di Tutto ciò che Esiste.
Affermare che ogni singola parte di una pellicola olografica contiene tutte le informazioni in possesso della pellicola integra significa semplicemente dire che l’informazione è distribuita non-localmente.
Partendo da questo presupposto si deduce che tutte le manifestazioni della vita provengono da un’unica fonte di causalità che include ogni atomo dell’universo. Dalle particelle subatomiche alle galassie giganti, tutto è allo stesso tempo parte infinitesimale e totalità del "tutto".
La cosa interessante è che la “chiave di teletrasporto”, lo stargate per accedere a questa realtà parallela sembra essere l’emozione, tipicamente umana.
Ai giorni nostri, non è stata trovata ancora alcuna contro-argomentazione significativa in grado di mettere in discussione la validità del teorema di Bell. Tutti gli esperimenti effettuati finora – e particolarmente significativi sono, in questo senso, gli esperimenti di Alain Aspect (1981) al laboratorio di ottica di Orsay, di Yanhua Shih (2001) dell’Università del Maryland e di Nicolas Gisin (2003) dell’Università di Ginevra – hanno confermato il risultato ottenuto da Bell, vale a dire che la non località deve essere considerata una caratteristica fondamentale e irrinunciabile del mondo microscopico, che le particelle subatomiche sono capaci di comunicare istantaneamente a prescindere dalla loro distanza.
Questo se è ipercomplicato per una mente scientifica, diventa semplicissimo per una mente religiosa o fideistica che si “affida” (“avere fede” significa proprio questo, affidarsi) a un’entità superiore che tutto conosce e tutto guida, Dio.
Secondo la versione degli scienziati, il potenziale quantico contiene un’informazione globale sui processi fisici, che può essere definita come "informazione attiva", contestuale al sistema sotto osservazione e al suo ambiente, la quale non è "esterna" allo spazio-tempo, ma piuttosto è un’informazione geometrica "intessuta" nello spazio-tempo.
Applicazioni sul corpo umano
La maggior parte delle interpretazioni della fisica quantistica tendono a derivare la non-località da situazioni locali usando concetti continui come spazio-tempo o ambiente, correndo il rischio di incorrere in paradossi simili, per così dire, a quelli che caratterizzano le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie.
Come scrivono Mara Francois e Laura Re su Osteopatia News, le applicazioni di quest’ultima teoria al corpo umano permettono di porre in risalto la contemporaneità del pensiero del padre dell’osteopatia A.T. Still, secondo cui lo Spirito è una forza che anima la Materia attraverso il Movimento, esprimendosi nella forma umana con quella forza vitale definita da William G. Sutherland come Soffio della Vita. Lo Spirito enunciato da Still è assimilabile al concetto di coscienza universale proposto dalla meccanica quantistica e svolge un ruolo fondamentale nella medicina osteopatica: mantenendo una coerenza quantistica con il corpo, ne tutela la salute, atto divino che libera lo Spirito ristabilendo il Movimento nella Materia.
L’osteopata o il terapista è chiamato, perciò, ad assumere le vesti d’intermediario tra corpo e coscienza, tra Materia e Spirito, affinché nel momento di Still-point del trattamento venga raggiunto nel corpo umano ciò che Still definiva una trasmutazione e cioè un cambiamento nei costituenti, nelle caratteristiche e nella natura dei liquidi, attraverso uno scambio in tutti i compartimenti del corpo, traducibile nel linguaggio quantistico come un’oscillazione “in fase” di tutte le particelle del corpo al fine di stabilire e ripristinare una coerenza quantistica. I fluidi del corpo, tra cui il liquor, la linfa e il sangue, rappresenterebbero il mezzo utilizzato non solo per il nutrimento, ma anche per la trasmissione della forza vitale nella Materia e il Movimento Respiratorio Primario potrebbe essere considerato in questo contesto come un’armonica di tutte le onde del corpo.
L’informazione vibrazionale sia l’anima della parola che può essere immagazzinata e trasmessa dall’acqua è avvalorata dall’ipotesi della causalità formativa del biologo inglese Rupert Sheldrake, che fornisce una spiegazione sul modo in cui comportamenti, pensieri e parole agiscono su sistemi fisici, chimici, biologici, sociali, distanti gli uni dagli altri nel tempo e nello spazio. Secondo Sheldrake, l’eredità biologica non è codificata solo dai geni, ma trae origine dal passaggio d’informazioni sotto forma di vibrazioni immagazzinate in campi energetici, definiti come campi morfogenetici alimentati da ogni coscienza individuale, che è poi posta alla base della formazione di una coscienza collettiva, definita come “coscienza universale” e non-locale.
Alcuni studi dimostrano che il cervello ha potenziali di campo, proprietà tipiche delle strutture frattali e proprietà quantistiche. L’entaglement, la non-località, la coerenza di alcune strutture del cervello, individuate nei microtubuli dalle ricerche di Roger Penrose e Stuart Hameroff , nelle membrane e nelle proteine neurali dai biofisici Huping Hu e Maoxin Wu , nelle sinapsi neuronali dai fisici teorici Evan H. Walker e Henry Stapp, determinerebbero infatti la creazione di una coscienza individuale, in grado di porsi in relazione proprio con quella coscienza universale quantistica sopra accennata, che fungerebbe da guida per ogni struttura fisica e biologica.
Il ruolo del terapista, visto in una scala più grande, sarebbe quello dunque di accordare la coscienza individuale con la coscienza universale, tramite l’intenzionalità (“se voglio veramente, io posso”) e una proiezione del proprio sé all’ interno del paziente, mediante una corretta visualizzazione anatomica tridimensionale.
Conclusioni
I comportamenti delle interazioni tra pensiero e materia possono essere visti come la conseguenza di una geometria ricca e complessa, la cui proprietà fondamentale sembra essere la non-località. Questa geometria permea le strutture profonde dello spazio-tempo, in modo tale che gli stessi fenomeni fisici sono per così dire immersi in una sorta di tessuto geometrico. Sulla base degli studi in materia, emerge la prospettiva che, così come non possono esistere delle particelle materiali (i fermioni), né delle particelle messaggere (i bosoni) senza interazioni, nello stesso modo le interazioni non potrebbero aver luogo senza la geometria non-locale sottostante che "tesse" lo spazio-tempo (o le diverse forme dello spazio-tempo) e propaga l’azione delle forze fondamentali attraverso il mondo microscopico e l’intero universo.
I rapporti tra l’explicate order della struttura spazio-temporale e le teorie che indagano la struttura fine della “schiuma” quantistica ci offre così la possibilità di un’interessante riflessione di carattere epistemologico e cognitivo.
Emerge la prospettiva di una struttura fondamentalmente non-locale in cui la geometria e la dinamica coesistono e dalla quale si co-determinano continuamente. Forma e funzione si plasmano continuamente.
Questa fanta-scienza, non è allocata soltanto nella testa di cervelloni de-connessi dalla realtà, ma sembra un fatto concreto come molti fenomeni ignorati nella quotidianità degli eventi, l’entanglement, la non località esistono e ne siamo immersi quotidianamente.
Mettersi in ascolto di questa frequenza invisibile e sintonizzarsi su quell’ onda tramite uno stato interno temporaneo innalza la spiritualità come l’intenzionalità durante un atto terapeutico, vivere ad un livello di coscienza più fine e consapevole nel quotidiano, permette di riconoscere che siamo “fatti ad immagine e somiglianza di Dio” e permette di accedere magicamente a questa coscienza non-locale, che ogni credente consapevole e inconsapevole chiama “Santo Spirito” (“il santo espiro”- la respirazione di Dio) mentre gli scienziati la nominano pomposamente “correlazione quantistica”.
Dunque se da una parte l’intenzionalità è magica e, per certi versi, perfino provata scientificamente, da un altro lato, come terapista, devi essere assolutamente certo/a che quando proponi certe cose al paziente parlando di questi argomenti, il/la paziente disponga di un terreno recettivo, un terreno PAAP.
Altrimenti il rischio forte è quello che vieni preso per pazzo/a visionario/a e il paziente scappi via spaventato. Oppure che il paziente ponga tra te e sé stesso un filtro che abbatte ed inquina il canale di comunicazione, rallentandolo o ostruendolo, facendo sì che l’atto terapeutico sia meno efficace.
Un buon espediente è conoscere l’esistenza di queste cose senza necessariamente doverla comunicare al paziente.
D’ altra parte, quando si è costretti a comunicare, trovo che scomodare la fisica quantistica con i nostri pazienti sia ridondante e fuori luogo. In fin dei conti essi hanno semplicemente dolore ad un ginocchio e cercano in noi delle soluzioni, non teorie “astruse”.
L’aspetto “magico” del nostro lavoro appartiene a cose che esistono solo nelle nostre menti bacate di terapisti un po’ fulminati. Ed appassionati.
Se la signora o il signore che stiamo trattando non appartiene alla tipologia spirituale PAAP, o semplicemente non si dimostra interessato a questi discorsi, è necessario tacere.
Se il paziente invece dimostra interesse per il nostro lavoro e ne vuole sapere di più su alcune strane tecniche che gli stiamo somministrando, è consigliato parlare in modo molto semplice, usando metafore. E qui la comunicazione terapista-paziente diventa importante: calibrare le metafore personalizzandole potrebbe essere una skill aggiuntiva: metafore provenienti dal mondo della meccanica se il/la paziente è una persona PM, con un occhio psicologico orientato al futuro (“facciamo un tagliando”, “diamo una controllata al motore e alle sospensioni” “per i prossimi 30mila Km sei a posto”); al contrario, se il paziente appartiene ad una tipologia AM, e all’interno della propria mappa temporale dispone di una timeline orientata al passato, sarà consigliato utilizzare metafore provenienti dal mondo della tradizione e legate all’ aspetto nutritivo gastronomico/culinario (“Il massaggio serve a sciogliere i muscoli, come quando si impasta bene la farina per rendere il pane più buono”, “Ascolta, ho preparato la torta dosando gli ingredienti, ora c’è bisogno che lieviti”, “Abbiamo fatto un massaggio tradizionale, come si tramanda da generazione in generazione”). Piccole metafore così, lasciate cadere quasi per caso, con il sorriso. I terapisti più esperti sanno che la nostra conoscenza del corpo è purtroppo limitata ed insufficiente per spiegare tutto. Rimanere umili ci rende in realtà più efficaci e funzionali alla terapia. La conoscenza sedimentata si integra nel corpo e sostituisce il nozionismo e la finta sicurezza con la modestia: virtù questa, che è la base di tutti i terapisti di successo.
Dunque dura lex sed lex: nel nostro lavoro siamo liberi di volare con il pensiero e credere a ciò che vogliamo, l’importante è che ci impegniamo a fare il massimo per i nostri pazienti, nel rispetto dell’etica e della deontologia professionale e, soprattutto, che lasciamo la terapia ai terapisti e le fregne ai fregnoni
Fabio Colonnello
Credits:
Creato con un’immagine di spirit111 - "cassiopeia supernova cassiopeia spiral"