2. Dentro te
Restò con quella inedita sensazione di rimbombo vuoto, a lungo, seduto sul letto. Wei Ying non aveva mai pensato a sé stesso come a un uomo delicato o emotivo, anzi. Eppure l’amore sa rendere le persone forti, indomite, facendo al contempo i sentimenti più fragili, facili agli eccessi. Come arpeggi che risuonano al minimo tocco.
Erano passate solo un paio d’ore da quando aveva agito in maniera scomposta con la persona che amava. Aveva usata Empatia sul suo Lan Zhan, sapendo che non era una cosa giusta da fare; ben conscio di aver commesso qualcosa di indesiderato. Ora ne stava pagando le conseguenze.
Lui, del resto, non aveva mai voltato le spalle alle responsabilità: sapeva agire d’istinto con il cuore e poi sapeva attendere il contraccolpo, con coraggio. Ma qui non si trattava “degli altri”, non c’entravano affatto le sue battaglie di principio “io contro tutto il resto del mondo”. Qui era diverso.
Dopo esser stato aggredito – e sorpreso - dal suo stesso pianto irrefrenabile e dalla freddezza di chi amava, era giunto un senso di vuoto pneumatico. Faceva persino fatica a mettere in fila i pensieri. Restava seduto sul letto, cingendosi le ginocchia e tenendo la fronte appoggiata alle mani. Ciondolando lentamente, in un vano tentativo di consolazione.
Da quanto stava così? Considerato che non riusciva a trovare un senso e un nome alla confusione provata, decise che non era il caso di compiangersi ancora a lungo. La cosa che faceva più male, al momento, quale era? Indubbiamente l’ultima immagine che lo aveva ferito in maniera inattesa: veder andare via Lan Zhan. Constatare che non si voltava ai suoi richiami.
Non era mai accaduto prima, nemmeno in un’altra e precedente vita. Un dolore inammissibile.
Si alzò e rivestì velocemente, agguantando strati di abiti che, a quel punto, dubitava anche di aver messo nella giusta sequenza. Poco importava, era notte fonda.
L’aria fuori dal Jingshi lo aggredì, pungente e fredda.
Non si vedeva anima viva lì intorno. Un silenzio profondo avvolgeva il giardino, solo il vento che muoveva piano la vegetazione. Un chiarore diffuso, opaco, di Luna, avvolgeva ogni superficie.
Girò a lungo, senza meta: in giardino e poi vicino alle mura. Infine le oltrepassò, nonostante il divieto, perché era convinto che un Lan Zhan arrabbiato potesse fare cose assolutamente fuori dalle regole. Ma non c’era traccia di lui da nessuna parte.
Una sensazione di nausea alla bocca dello stomaco lo vinse, repentinamente. Sentiva qualcosa tremare, dentro, anche se non avrebbe saputo indicare un punto preciso.
Dove? Dove diamine era finito Lan Zhan?
Seguitò a camminare, aiutato dal sentiero così rischiarato: quella notte non sembrava nemmeno una notte. C’era una luce diafana che mangiava i contorni delle cose: se non fossero stati arrabbiati e divisi, quella sarebbe stata un'occasione perfetta per una passeggiata nei boschi dei Meandri. Gli venne un’illuminazione: esatto, proprio i boschi dove si era recato Lan Zhan quella volta, con il temporale, nel ricordo appena riemerso. Aveva già infranto le regole, tanto valeva proseguire nel cammino.
Passò il primo tratto in discesa, saltò velocemente da un masso all’altro del piccolo e ripido fiume che quella sera non solo era pienamente visibile, ma era anche piuttosto tranquillo: emetteva rumori di chiacchiere sommesse.
Sembrava dirgli: “Dai, dai Wei Ying, passa pure, ti capisco perfettamente! Stai attento a non scivolare!”. Il fiume doveva chiamarsi Wangji!
Sorrise un po’ a questa considerazione, ma il sorriso si trasformò immediatamente in un dolore: non c’era un suo singolo pensiero che non confluisse alla persona amata. Non c’era nome, oggetto, respiro che, proprio come quel fiumiciattolo, non lo conducesse a lui. Quel “Lui” che mancava come il respiro sott’acqua.
Perché restare arrabbiati? Dopo aver provato così tanto dolore, distanza, vuoto… che senso aveva sprecare ancora tempo?
Lui voleva abbracci, voleva sorrisi (ora che miracolosamente Lan Zhan ne elargiva con grande facilità, ma solo a lui), voleva diventare un unico nodo di braccia e gambe con quel Tutto che era il suo Lan Zhan.
Non desiderava affatto quel ghiaccio, quell’assenza.
Mentre pensieri simili lo avvincevano completamente, era già arrivato in un punto dove il bosco si faceva radura; riconoscendo l’albero sotto al quale molte volte nel passato, insieme, si erano fermati all’ombra.
Esattamente dove doveva trovarsi Lan Zhan durante quel temporale.
Si guardò attorno a lungo, distingueva fronde, cespugli, persino i singoli fili d’erba da tanto la notte era illuminata. Ma lì, era evidente, non c’era nessuno.
Il suo cuore si svuotò come una bottiglia travasata.
Era solo. Non avvertiva la presenza di Lan Zhan, come se non fosse più esistito da nessuna parte.
Questa considerazione fu un soffio millimetrico, qualcosa di minuscolo ma deflagrò come un boato dentro Wei Ying.
Provò un dolore così fitto che si portò le mani allo stomaco, neanche avesse ricevuto un pugno inatteso. Privo di respiro, quasi correndo, rientrò verso casa.
Non si era sognato tutto, vero?
Esisteva ancora una vita in cui lui viveva con Lan Zhan? La loro camera, gli abiti sistemati vicini e mischiati, le loro spade su due supporti decorati, una accanto all’altra, il tavolino dove Lan Zhan sedeva composto e in silenzio… c’era tutto questo, vero?
Corse a perdifiato nel bosco, passò nuovamente oltre le mura e giù – agile e scattante come sempre – sino al giardino.
Niente, silenzio come prima, lì ancora non c’era nessuno.
Aveva voglia di gridare.
Se era un incubo, almeno, qualcuno lo avrebbe scosso e svegliato?
E se invece, davvero, si era sognato tutto? Se fosse stato un ennesimo viaggio, una bolla di nulla dentro alla morte?
Quel chiarore di latte notturno, quel silenzio… era quella la realtà?
Perché, allora, era una realtà senza l’altro pezzo di sé? senza il suo Lan Zhan.
L’agitazione stava rendendo i suoi pensieri sempre più scomposti, folli di paura. Si fermò sotto la veranda. No, tutto era come prima, poteva vedere l’interno ancora in penombra. Il loro profumo, in casa, sandalo addizionato loto, era avvertibile sino all’esterno… Provò a chiamare quel nome. Lo fece piano, con il timore di rompere un silenzio o un incantesimo… se davvero aveva sognato tutto, era sicuro di volersi risvegliare? “Lan Zhaan?” LanZhanLanZhan, quante volte lo aveva chiamato e, continuamente, lo chiamava? Forse erano le sillabe in fila che aveva maggiormente ripetute nella vita.
Non voleva smettere di farlo.
Voleva che fosse il nome perennemente sulle sue labbra; voleva che ogni possibile intonazione, dall’urlo al sussurro, appartenesse solo a quel gruppo di lettere. Però quella sera, quella sera… non c’era nessuno a rispondergli. Era la fine dell’Universo conosciuto. Se per lui c’era una sicurezza nella vita (anche in quella “di prima”!), era nominare quel nome e sapere di ricevere una risposta immediata.
Silenzio assoluto.
Lo cercò a lungo, in giro, uscì ancora dal Jingshi, andò verso la biblioteca. Era buia. Era chiusa.
Alla fine non poté far altro che tornare indietro, constatare che esisteva un letto in cui dovevano aver dormito insieme e, quasi consolato dal residuo di realtà, abbandonarsi con la faccia dentro alle lenzuola. Respirando a fondo, nel tentativo di voler cogliere la consistenza di chi non aveva più fatto rientro. Si addormentò in un sonno nero e senza sogni solo quando fuori già albeggiava.
La Biblioteca era così buia, la notte.
Per fortuna quella era una notte di Luna, così non fu nemmeno necessario accendere una luce: Lan Zhan ritenne che per poter tranquillizzare il suo animo quel luogo era perfetto e lo era anche senza illuminazione.
Si sedette allo scrittoio, nessun libro davanti, solo il tentativo di respirare di nuovo regolarmente e di mettere i pensieri in fila. Esigeva ordine da sé stesso.
Non era da lui lasciare Wei Wing in quel modo, andarsene, non rispondergli.
Non si sentiva bene, in quel ruolo.
Perché, allora, aveva reagito in quella maniera?
Da una parte – non si raccontava certo bugie - non riteneva che Wei Ying avesse fatto una cosa così grave; forse lui stesso, se i ruoli fossero stati invertiti, avrebbe usata Empatia. Sì, forse anche lui avrebbe potuto commettere quel passo falso.
Perché, quindi, aveva reagito in maniera così teatrale ed esagerata? Vivere accanto a quel turbine di Wei WuXian lo aveva cambiato così tanto? La verità era che forse con le persone “comuni” usare Empatia non provocava quasi nulla, se era condotta bene neanche si accorgevano di esser stati osservati.
Ma per loro era diverso; il loro livello di coltivazione era uno dei più alti che si potesse riscontare nell’intero mondo dei Cultori. Questo significava, obbligatoriamente, che non solo il soggetto indagato se ne rendeva conto ma che, al risveglio tutte le cose viste e osservate erano lì, in bella mostra: salite a galla della coscienza come se fossero state appena vissute. Questo, soprattutto questo aveva spezzato l’animo di Lan Zhan.
Per lui era già difficile dimenticare, anche per un solo giorno, i lunghi anni appena trascorsi; figuriamoci ripiombare in quelle sensazioni con la vivida luce di Empatia. Probabilmente se lo avessero trapassato da parte a parte con Bichen, sarebbe stato meno doloroso. Con il corpo sapeva sopportare ben altro. Ma quello…
La sensazione di perdita, di assenza del suo Wei Ying, gli era intollerabile adesso come allora.
Anzi, adesso anche di più perché gli faceva provare il terrore assoluto della storia che si ripete: non si sarebbe limitato a impazzire silenziosamente, era certo che lo avrebbe seguito. Non importa dove, ma con lui.
Respirò profondamente, nel tentativo di placare i pensieri, almeno un secondo. Una piccola frazione di lucidità: la pretendeva.
E invece, come onde troppo mosse, continuava a sentire quelle bordate di dolore, quella sensazione di qualcosa che si è spezzato e non si ricompone.
Non aveva certo problemi di orgoglio con Wei Ying, ma adesso? Ora che quella parte della loro storia non era stata mediata dalle sue parole, bensì vista e vissuta in maniera diretta e immersiva… come avrebbe potuto consolare?
Come avrebbe potuto minimizzare?
Non che intendesse mentire a Wei Ying, non era nemmeno pensabile, ma almeno smussare gli angoli. Almeno dare ai ricordi una parvenza di sopportabilità.
Proteggerlo dalla verità?
Forse, forse voleva anche questo; semplicemente sapeva bene quanto “il terribile Patriarca” in realtà patisse più per gli altri che per sé stesso; figuriamoci se c’era di mezzo Lan Zhan! Non era questione di presunzione, semplicemente per entrambi era chiara l’entità di quel legame ed era altrettanto chiaro quanto fosse intoccabile la persona amata: valeva per entrambi.
Come avrebbe fatto, ora, a rimuovere quel dolore? Eppure ne aveva bisogno.
Sapeva che quel peso, quel terribile buco nero che continuava ostinatamente a restargli dentro, avrebbe seguitato a togliergli il sonno. Più si riteneva miracolato per aver nuovamente al suo fianco “la persona della sua vita”, più si svegliava in preda agli incubi. Ammettere la paura che gli era rimasta incollata era come ammettere di poter cadere, ancora.
Era annunciare ad alta voce “E’ accaduto, può succedere di nuovo”.
Erano pensieri che non desiderava nemmeno lontanamente formulare.
Per la sua (la loro) sanità mentale si era ripromesso di chiudere per sempre la porta del passato e guardare avanti.
Per un attimo, però, si sentì ingiusto. Perché quelle domande, quelle curiosità sarebbero rimaste appese ancor più a lungo con il silenzio. Forse aveva ragione Wei Ying: parlare, tirare fuori il male e rivelare le cose provate in un recente passato, era un po’ come lanciarle fuori da sé, allontanandole.
Gli venne in mente il racconto del monaco che porta in spalla la donna, per guadare il fiume da una riva all’altra. Forse lui era il monaco che si era portato il fardello sino a lì. Forse era meglio smetterla. Ma ad ogni tentativo di comprendere il gesto di Wei Ying si trovava sempre più irritato. Più ammetteva le ragioni dell’altro, più il dolore lo allontanava dalla verità. Il punto era uno solo: finché non avesse raccontato ad anima viva le cose provate durante quei lunghissimi anni di vuoto, avrebbe potuto recitare la messa in scena del “non è mai successo”. Se quel muro di dolore fosse rimasto solo ed esclusivamente suo, poteva quasi sostenere che non fosse mai accaduto.
Sedici anni di nulla.
Sedici anni in cui Wei Ying era presente, era il punto di riferimento; era la persona a cui parlava in continuazione. Non era mai morto.
Ma era bastato un tocco, una frazione di pochi secondi perché tutta la sua impalcatura traballasse, crollando a terra.
Il dolore ti fa sempre saldare il conto, non vuole essere ignorato.
Aveva ritenuto di poterlo nascondere? Sbagliava. Non poteva proteggere Wei Ying, per quanto provasse. Non poteva difenderlo dalla nuova vita, poteva solo restargli accanto, come sempre. Ma risparmiargli la verità, no, non poteva.
Era lui, quindi, in torto? Aveva esagerato?
Ripensò alla reazione, poche ore prima (a proposito: ma quanto tempo era passato, nel frattempo?), di Wei Ying: disperato, che chiedeva scusa. Lui, privo di ogni tatto se ne era andato via. Aveva avuto il coraggio di non voltarsi nemmeno, nonostante sentisse il richiamo implorante che arrivava alle sue spalle.
Con quale insensibilità aveva fatto un gesto del genere?
Non sapeva trovare risposte, ma una crepa nel cuore si aprì e fece strada: quella fessura sanguinante aveva un nome e un cognome, ormai. Era la cicatrice più profonda di tutte. Imparagonabile persino alla collezione presente sulla sua schiena; quella che si era formata, giorno dopo giorno, sin da quando era adolescente.
Quella che si era aperta con i primi scherni, con le prime rappresaglie amorose ed era diventata un solco a spaccare a metà il muscolo, quando Wei WuXian, “il Patriarca, finalmente” era morto. Non era mai sparita.
Ora era nuovamente lì, a ricordargli che l’unica cosa vera di tutta la sua vita stava tutta in quel punto, nel bene e nel male. Quella persona ERA il suo cuore stesso.
E nascondere qualcosa al suo cuore era un’idea così assurda. Così inutile.
Si sarebbe schiaffeggiato, se questo fosse servito a qualcosa.
Tornò veloce in camera, nella loro. Ma in quel momento era vuota; non c’era più nessuno. Si sentì perduto. Solo il loro profumo, loto addizionato sandalo, gli faceva comprendere che sino a qualche ora prima tutto era perfetto e normale.
Quel vuoto silenzioso faceva un rumore assordante per il suo cuore.
Wei Ying? Se ne era andato via? Ne avrebbe avute tutte le ragioni.
Si era comportato in modo così tagliente, con lui. Era stato.. perfido, ecco cosa.
Lo aveva lasciato solo, nel letto, mentre implorava perdono.
Non sapeva perdonarsi. Vagò in ogni stanza, veloce e con il sangue a battere nelle tempie; uscì in giardino. Nulla. Wei Ying non rispondeva, non c’era.
Offeso, era tornato all’Approdo del Loto? Si era messo in viaggio dopo la lite? No, dai, figuriamoci se tornava in quel luogo; forse, solo se accompagnato.
Non poteva aver fatto una cosa del genere.
Eppure il cuore continuava a essere in tumulto, la testa in frenetica corsa in cerca di una possibile risposta. Alla fine, dopo aver girovagato a lungo fra i padiglioni, tornò privo di speranza in biblioteca.
Aprì un piccolo scrigno che conservava da quasi vent’anni. Tirò fuori pezzi di appunti, scarabocchi, disegni. Li dispiegò, osservò uno a uno, sentendo salire una malinconia e una dolcezza incontenibili. Appoggiò la fronte su quel mucchio di stralci di ricordi… spense la giornata così, esausto. Solo.
Quando si risvegliò di soprassalto era già mattina. Lo svegliò il dolore e il senso d’assenza che conosceva così bene: gli parve di vivere di nuovo la vita che aveva ‘prima’ che Wei Ying tornasse nel suo mondo.
Appena aperti gli occhi fu colto da un profondo senso di nausea. Ma era già tardi. Raccolse un piccolo libro che aveva rigirato tra le mani prima di cadere in un sonno nero e senza sogni.
Si diresse veloce nell’aula. C’era già lo sciame bianco e vociante dei ragazzi, seduti in ordinata sequenza nei loro banchi: lo stavano aspettando.
Il sommesso brusio era dovuto alla strana novità: Hanguang-Jun non era mai arrivato in ritardo, mai. Fino a quel giorno.
Quando passò al centro dell’aula diretto alla sua scrivania, nel varco fra i banchi, il brusio cessò. I volti dei ragazzi si interrogavano l’un l’altro a sguardi.
Doveva avere una faccia davvero terribile. Istintivamente e con un moto d’ansia si toccò la fronte. No, non si era dimenticato la fascia. Era al suo posto, come sempre. Un piccolo brivido gli scese lungo la schiena. Tranquillo, ricomponiti, sei vestito e non hai dimenticato nulla.
Alzò lo sguardo per controllare chi fosse presente e un battito del cuore, più forte degli altri, lo fece trasalire.
Qualcosa nel suo campo visivo lo aveva punto forte: nel banco in fondo, vicino alla colonna, sedeva Wei Ying, scomposto come al solito. La testa sorretta dal braccio, la schiena di sbieco. Era un immagine dal loro passato? Stava ricordando? Ma qualcosa gli disse che no, era proprio lì. Tempo presente.
Perché non appena i loro sguardi si sfiorarono quello si raddrizzò immediatamente, come punto da un richiamo; la schiena drittissima e gli occhi imploranti. A Lan Zhan parve di vedere una scritta luminosa, di fianco a quella testa che conosceva così bene, con scritto “Ti pregotipregotiprego, non mandarmi via, tipregotiprego, non guardarmi con odio. Sono un infiltrato, lo so: non dire niente!”.
La paura di non rivederlo, dopo quella notte, si sciolse e svanì. Gli occhi di Lan Zhan si accesero, tremando.
Ma non disse nulla, prese fra le mani il piccolo volume che aveva portato con sé, intimò il silenzio (cosa non necessaria in realtà, visto il gelo che era sceso), iniziando a raccontare:
“Due monaci stavano camminando sulle rive di un fiume; si apprestavano ad attraversarlo. Quando, ad un certo punto, andò loro incontro una ragazza: potevano aiutarla a guadare il fiume? Per i monaci era severamente vietato toccare una donna”.
Alzò lo sguardo verso Wei Ying pentendosene: vide che stava sogghignando a quest’ultimo dettaglio del racconto. Pensò che avrebbe voluto picchiarlo, baciarlo, zittirlo, tutto contemporaneamente. Ma non poteva dar mostra dei propri pensieri e, apparentemente imperturbabile, ricominciò:
“I due monaci si guardarono, si consultarono in dubbio su cosa fosse corretto fare. Poi uno dei due decise che non poteva non soccorrerla: la prese sulle spalle e la portò sull’altra riva, in salvo. La donna ringraziò, si congedò da loro. I monaci camminarono ancora a lungo, per molte ore in silenzio. Ma a un certo punto uno dei due, ancora/ pensieroso, chiese al suo compagno perché avesse accettato di portare quella donna sulle spalle, sapendo benissimo che gli era vietato. “Certo – gli rispose – io l’ho portata sulle spalle per aiutarla anche se non dovevo. E l’ho posata appena siamo stati a riva. Tu, pensandoci così a lungo, l’hai portata addosso sino a qui”.*
Sussurri di comprensione si stavano levando fra le teste dei ragazzi, qualcuno annuiva, altri si scambiavano occhiate di comprensione: il racconto aveva incontrato il loro interesse. Sembravano aver compreso quel finale, approvandone il pensiero.
L’unico che non stava guardando il docente era Wei Ying; stava tentando di non esser notato. Soprattutto dall’insegnante.
Ma aveva l’aria commossa o forse afflitta: a Lan Zhan salì la paura di aver fatto peggio, anziché aver offerto una sorta di dono o di resa nei suoi confronti. Non riuscendo a capire lo stato d’animo di chi si stava nascondendo con il viso ripiegato sul mento, velocemente si alzò, disse ai ragazzi di non fare troppo rumore e di scrivere una propria considerazione su quanto avevano appena ascoltato. Si diresse velocemente verso l’ultimo banco, quello accanto alla colonna.
Wei WuXian non era certo una persona lenta a capire, lo vide avvicinarsi, perciò si alzò da quel posto che aveva occupato approfittando di qualche discepolo assente, uscì veloce dall’aula. Seguito da Lan Zhan che gli giunse accanto come una nube di stoffa bianca e ribollente. Prese al volo, fermandolo, Wei Ying.
“Dov’eri finito?”
“Dov’eri finito?” Lo dissero all’unisono.
“TU! Dove eri. Dove sei sparito?”
“TU, piuttosto. Ti ho cercato ovunque: sono stato persino nel bosco dietro i Meandri”
“Sei USCITO? Ancora una volta? Non imparerai proprio mai, TU!”
Ringhiavano un po’, rivolti in direzione l’uno dell’altro, ma senza troppa convinzione. Il braccio che Lan Zhan teneva stretto non era affatto scontento di quella presa. E quel quartetto d’occhi lucidi non erano arrabbiati, affatto, come il tono delle voci avrebbe preteso di indicare.
“TI stavo cercando! Certo che sono uscito, certo! Dopo esser rimasto in camera, da solo, quasi tutta la notte. TU, piuttosto, dove eri?”
“In camera? TU? Sono tornato in camera nostra (calcando il tono), e non ti ho trovato”
“Certo, ero uscito a cercarti”
“TU in camera non c’eri!”
“Ti ho appena detto che ero uscito a cercarti! Mi stai ascoltando?”
Le guance di Lan Zhan avevano iniziato a prendere fuoco e no, in effetti non stava più ascoltando con la dovuta calma.
“Non c’eri!”, insistette.
“Mi sento morire se ti comporti così Lan Zhan. Non farlo mai più”, tagliò corto.
“TU, piuttosto non fare mai più una cosa del genere!… “
“Lo so Lan Zhan, ho sbagliato, te l’ho detto subito! Accidenti, ti ho chiesto perdono subito!” ripartì all’attacco.
Se le andava proprio a cercare. L’altro infatti si irrigidì nuovamente. Gli aveva appena offerta una pubblica lettura, in aula, dichiarando al mondo che sì, sapeva di essere nel torto: Wei Ying aveva ragione con il suo desiderio di parlare, di affrontare quel dolore. Era l’unico modo per lasciarlo sulla riva del fiume. Ma aveva sbagliato il modo.
Su questo punto Lan Zhan non era disposto a cedere.
“Tu non c’eri”, ripeté, ancora, irragionevolmente rivolto a un Wei Ying sempre più confuso.
"Mi hai ascoltato Lan Zhan?” alzando il tono della voce.
Ma erano pur sempre, e ancora, di fronte all’entrata dell’aula. Il loro bisticcio non era passato inosservato; a quel punto tutte le schiene erano girate sul lato opposto delle scrivanie e anziché esser dedite al loro compito stavano sbirciando, in un silenzio incredulo, l’inusuale scena in corso. I discepoli della Scuola Lan avevano due certezze incrollabili riguardo quei Cultori ammiratissimi: affabilità e accoglienza cameratesca da uno, disciplina inappuntabile, ma mista ad una appena accennata comprensione, dall’altro. Quei battibecchi da sposi, proprio no.
Un’unica schiena non era voltata a curiosare: quella di SiZhui. Lui, si nascondeva la bocca con la mano, seguitando a scrivere. Non sapeva se ridere o preoccuparsi per quei suoi genitori così anomali.
“Non gridare Wei Ying!” e a sua volta urlò quasi, quel nome.
Si trascinarono, strattonandosi un po’ l’uno un po’ l’altro, lontani dall’aula.
Fino alle loro stanze. Tutto era rimasto immobile, come nel corso della notte più tormentata della loro nuova vita: l’unica differenza era il letto un po’ più cuccia di prima, con l’evidente impronta di qualcuno che aveva dormito veramente male.
“E comunque non lo fare mai più!” insistette Wei Ying.
“Tu! Tu non lo rifare più!” (ma quanti anni avevano? Forse dieci in due?)
“Se lo rifai di nuovo io muoio! Lan Zhan, non lasciarmi mai più in quella maniera”, proseguì, con un tono da cucciolo abbandonato sul ciglio della strada. Mise anche il broncio.
“Non ci provare! Non fare quell’espressione! NON lo fare!” lo minacciò puntandogli un dito sul naso. L’altro mimò un morso a quel dito.
“E non osare nemmeno!”
“Te ne devo sempre uno!”
“Sii serio!” Silenzio.
Muso lunghissimo, aria afflitta: “Lan Zhaaaaaan, non sopporto quando mi tratti così, non lo reggo. Davvero. Mi hai ucciso il cuore stanotte” con un tono talmente disperato e lagnoso che avrebbe commosso persino Zio Lan Qiren.
"Ti ho già chiesto di essere serio. Finiscila!” Silenzio.
Qualcuno si ricompose. Divenne più che serio; cambiò espressione e mostrò tutta l’afflizione provata nelle ultime ore.
“Sono serissimo Lan Zhan. Ho sbagliato. Ti ho chiesto perdono. Mi hai trattato come un estraneo, mi hai voltate le spalle, sei sparito. E mi sono sentito morire. Puoi credermi se lo dico, no? l’ho già provato sulla mia pelle, so di cosa parlo. La tua indifferenza mi uccide. Avevo appena provato il tuo dolore, avrei desiderato parlarne con te. Voglio essere parte della tua vita. Anche quella parte in cui io ero assente. Capirti, provare quello che hai provato. E poi accantonarlo. Ma tu vuoi trascinarlo con te, oltre la riva di quel fiume: è così?” Era quello che aveva inteso con quel racconto, a lezione.
“No. Non volevo che lo provassi. Tutto qui”
“Tutto qui? Non sai dire altro?”
“Ti ho capito, ho capito le tue intenzioni. Ma sono comunque addolorato, hai provato anche troppo male nella tua vita. Questa volta non voglio succeda. E comunque non mi hai detto DOVE ERI stanotte!”
Ancora? Gli occhi di Wei Ying si spalancarono, increduli. Perché ripeteva le cose? Perché cambiava discorso? Eccome se gli aveva già detto dov’era stato: perché continuare a chiederlo?
Per il solito motivo. Perché dopo aver pensato tutte le parole possibili, poi, davanti a Wei Ying gli si spegneva il cervello. Ogni parola diventava irrilevante. I ragionamenti, chiari e in fila sino a qualche minuto prima, diventavano tante schegge indistinte, esplodevano e non era in grado di rincorrerli, mettendoli insieme per un ragionamento coerente.
Lan Zhan, la persona che non si perdeva mai, che possedeva una logica ferrea, di fronte alla persona amata diventava muto e privo di raziocinio.
“Non sai chiedere scusa tu, Lan Zhan! Ti ho appena detto che mi sono sentito morire quando sei andato via, stanotte. E tu? Mi rispondi che eri dispiaciuto per me. DISPIACIUTO? Perché ho capito il tuo dolore con Empatia? Ma se eri dispiaciuto per ME, allora perché trattarmi così? Perché SANTOCIELO, Lan Zhan, perché TU non sai chiedermi scusa? IO l’ho fatto! Se vuoi mi metto in ginocchio!” e stava mimando il gesto, piegando lievemente le ginocchia.
Velocissime le braccia di Lan Zhan lo circondarono, risollevandolo.
“Non essere stupido!”
“Anche stupido?!”
“Hai capito… “
“NO, no Lan Zhan non ho capito affatto. PARLA! Con me devi parlare, maledizione!”, e questa volta non stava scherzando. Le corde vocali al collasso, la giugulare spuntava dal collo, in rilievo. Gli occhi spalancati e sul punto di riversare il dolore trattenuto sino a quel momento.
“Quando sono tornato in camera, stanotte tu non c’eri. Anche io mi sono sentito morire Wei Ying” lo disse sottovoce, con un notevole sforzo. Abbassò lievemente lo sguardo.
“Ti credo Lan Zhan. Ti credo. Io non riesco a rimanere arrabbiato con te. Fa troppo male. Non riesco più a capire perché siamo arrivati a questo punto”, non era vero ma era sfiancato da quella lotta tesa ed inutile.
“Perché siamo due idioti” lo disse ancora a voce piuttosto bassa e si intuiva un leggero sorriso.
“Siamo due idioti Lan Zhan?”
“Mh”
“Sì, forse è vero. Hai ragione tu Lan Zhan. Due grossi idioti innamorati. Mi manchi” un tono lamentoso, da vero attore.
“Anche tu” sempre sussurrato.
“Siamo due idioti”
“Mh”
“Lan Zhaaan, devo ripeterlo ancora tante volte oppure mi chiudi la bocca come fai sempre e mi accompagni dentro?”, indicando la loro camera.
“Mh” non disse altro.
Ma lo prese di peso, in braccio. Sparendo oltre la cortina di stoffa della stanza. Gli studenti, in aula, restarono soli, con i loro compiti scritti. Attendendo inutilmente il loro docente per altre due ore.
Lan Cìan©
*Il racconto che Lan Zhan fa a lezione non è un'invenzione della fantasia malata di Lan Cìan, bensì un racconto tratto dal volume 101 storie Zen, Traduzione di Adriana Motti, Adelphi, Milano, 1973.
PCB (Pazientissima Correttrice di Bozze) Manuela Storace
Credits:
Le foto sono di Lan Cìan e si vede!