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Nepal, trek al Campo Base Everest la valle del Khumbu

Prima c’è la preparazione, poi ci sono più di due settimane di salite intense, notti scomode e altitudini elevate, difficoltà che basterebbero a scoraggiare la maggior parte delle persone, eppure non succede. Perché? È incredibile pensare che aura di mistero circondi l’Everest, e quanta gente ogni anno arrivi al suo base camp. Ogni genere di persona, tutte in cerca della realizzazione dello stesso sogno, chiamato Everest. Da una parte c’è un aspetto ovvio: l’Everest è l’Everest. E non importa se lo vedi o meno (nelle due settimane di trekking si vede pochissimo), non importa quanto ci metti a raggiungerlo, quanto costa e quanto fa freddo...sapere che sei stato al cospetto del gigante dei giganti, del re delle montagne, del tetto del mondo...nessun ragionamento razionale può vincere su questo. Ma per me, oltre ad esserci stato il mitico richiamo, oltre all’occasione di arricchimento che questo viaggio in particolare ritenevo avrebbe rappresentato, c’è stato anche il sapore della sfida, la voglia di mettersi alla prova che a volte arriva ad una certa età.

L’Everest ha 2 Campi base, Il Campo Sud si trova in Nepal, mentre il Campo Nord è situato nel territorio del Tibet (Cina), il più popolare è quello sul lato sud. In territorio Nepalese se si vuole raggiungere il famoso campo base Everest e camminare sulle orme di grandi eroi come Tenzing Norgay Sherpa e Edmund Hillary (primi alpinisti ad avere raggiunto la cima dell'Everest) si deve risalire la valle del Khumbu.

La mappa del trekking al Campo Base Everest ed una foto dei primi alpinisti ad avere raggiunto la cima dell'Everest Edmund Hillary e Tenzing Norgay Sherpa.

Qui ci si accorge che questo viaggio non si limita alle montagne, sicuramente notevoli perché le più elevate al mondo, ma passa attraverso le atmosfere dei villaggi dove sembra che il tempo si sia fermato, e soprattutto dalla cordialità degli Sherpa e dalle loro abitudini e cultura.

Gli sherpa, come la maggioranza del popolo nepalese, sono molto religiosi, la maggior parte sono buddisti ed è per questo che nel percorso del trekking al Campo Base Everest è tutto un proliferare di adorabili santuari, stupa, bandiere di preghiera e templi. Credono anche in varie divinità associate alle montagne e considerano sacre le montagne stesse.

E' sempre emozionante l'attraversamento dei ponti tibetani, spesso in compagnia di portatori o di carovane di yak. Le carovane di yak, un tempo utilizzate per il commercio che consisteva soprattutto nello scambio di lana e salgemma del Tibet contro riso del Nepal, oggigiorno trasportano beni di consumo più moderni.

Gli sherpa, che sono un popolo e non portatori di alta quota, come alcuni erroneamente credono, si sono dati da soli questo nome (sherpa o shar - pa = uomini dell'est), per distinguersi dalle altre popolazioni del Nepal provenienti dal Tibet e che i nepalesi, con un sottinteso significato spregiativo, chiamavano bhutia. Il loro congenito adattamento alle grandi altezze e la circostanza di abitare ai piedi dei colossi himalayani li pose in condizioni di privilegio, nei confronti di altre etnie, allorché si dovettero reclutare i portatori d'alta quota necessari per le prime spedizioni alpinistiche degli anni cinquanta e sessanta. Il loro carattere socievole, la loro resistenza alla fatica e la specializzazione che essi acquisirono svolgendo tale attività, spiegano la preferenza che a tutt'oggi viene loro data non solo per le spedizioni alpinistiche vere e proprie, ma anche per svolgere le mansioni di accompagnatori e portatori in occasione dei trek. Tali circostanze chiariscono l'equivoco relativo al significato del loro nome.

Le bandiere lung-ta sono quadrate o rettangolari, legate tra loro attraverso una lunga corda. Sono normalmente appese in luoghi alti come sul tetto di un tempio, monastero, stupa, sui tumuli, e nei sentieri di montagna. Tradizionalmente le bandiere di preghiera sono usate per promuovere la pace, la compassione, la forza e la saggezza. Le bandiere non contengono preghiere per gli dei. I tibetani credono piuttosto che i mantra vengano sparsi dal vento, e le buone intenzioni e la compassione pervada lo spazio intorno. Di conseguenza si crede che le bandiere di preghiera portino beneficio a tutti. Appendendo una bandiera in un luogo alto, si porta la benedizione dipinta sulla bandiera a tutti gli esseri. Quando il vento passa sulla superficie delle bandiere, le quali sono sensibili ad ogni cambiamento e movimento del vento, l'aria si purifica e viene resa sacra dai mantra. Le preghiere sulle bandiere diventano parte permanente dell'universo, mentre l'immagine sbiadisce a causa dell'esposizione agli elementi. Proprio come la vita va avanti e viene rimpiazzata da nuova vita, i tibetani rinnovano le loro speranze per il mondo continuando ad appendere nuove bandiere di fianco a quelle vecchie. Questo atto simboleggia il fatto di dare il benvenuto ai cambiamenti della vita e il riconoscimento che ogni essere è parte di un circolo più grande.

Sfilare sotto l’Ama Dablam sovrastati dal Tawoche, dal Kwangde e dal Kangtega con il Lothse sullo sfondo è una sensazione che si può provare soltanto qui e negli ultimi chilometri appaiono il Pumori, il Nupste e alla fine il Sagarmatha o Everest.

Le montagne più alte della Terra sono sempre sullo sfondo e alla fine del nostro cammino, iniziato di notte, c’è la vetta del Kalapathar un belvedere unico per un'alba indimenticabile sull'Everest.

In generale non è facile selezionare le foto “giuste” del viaggio che si è appena concluso, scegliere gli aspetti e le peculiarità di luoghi e popolazioni da descrivere per evidenziarne le bellezze e provare a condividere le emozioni vissute. Questa sorta di moderni diari di viaggio sono soprattutto per noi stessi, per ricordare, magari da far vedere qualche volta agli amici sperando di riuscire ad unire sorpresa e sintesi così da non annoiarli troppo. Ovviamente si sottolineano sempre i momenti belli e le situazioni interessanti. Non ci si sofferma sui giorni difficili, quando non si sta bene, quando arriva la stanchezza e grande è la paura di non farcela, e qui basta davvero poco, una storta, un forte raffreddore, il temutissimo mal di montagna… ed il sogno svanisce. Il trek al Campo base Everest è qualcosa di più del grande viaggio in un paese lontano. Nonostante sia tranquillamente fattibile con un minimo di preparazione e che il nostro punto di arrivo per “i grandi della montagna” sia solo la partenza, si sente vagamente nell’aria e si condivide con gli amici che hanno vissuto con noi questa avventura il sapore di una piccola impresa.

Missione compiuta
Created By
FABRIZIO VANZINI
Appreciate

Credits:

I ringraziamenti vanno alla guida e, soprattutto, al portatore che mi hanno permesso di scattare queste foto.

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