Forte e caldo, il favonius sa d'Africa e di sale. I pescatori annusano l'aria: "Tempo di tunni", sentenziano. I tonni sono la vita di Favignana. Da quando esiste il mare, esistono i tonni ed esiste Favignana, anche se i Greci la chiamavano Aigousa, isola delle capre, per la massiccia presenza di questi animali, e gli Arabi Djazirat ‘ar Rahib, "isola del monaco", per il Castello di Santa Caterina, la fortezza normanna che la domina dall'alto, dove si diceva vivesse un eremita. Favignana è anche l' "isola farfalla", come la definiva il pittore Salvatore Fiume; ha scogliere scoscese, un mare di cobalto, turchese e smeraldo e tanta roccia bianca: calcarenite. Cave aperte e sfruttate per secoli, con i cavatori bianchi come fantasmi per la polvere e la fatica che facevano cadere i blocchi di tufo sugli schifazzi, le barche in legno con la vela triangolare, calandoli da scivoli scalpellati nella roccia stessa.
Le pietre erano destinate alla terraferma, ai palazzi di Palermo, Trapani, Marsala, ma anche di Tunisi e chissà quali altre città: c'è un po' di Favignana ovunque, nel Mediterraneo. Quelle cave sono dismesse da tempo, e le ferite di ieri sono diventate l'attrazione di oggi, con resort e hotel di lusso ricavati negli antichi luoghi di estrazione, con i vecchi attrezzi di scalpellini e cavatori a raccontare com'era un tempo quella vita ai turisti che s'impigriscono in piscina sotto l'ombrellone.
Il mare. Per un'isola il mare è tutto, è la vita, per gli uomini come per gli animali. Una convivenza, quest'ultima, spesso difficile, in perenne e precario - ma necessario - equilibrio. Per questo a Favignana si trova anche il Centro di Primo Soccorso delle tartarughe Caretta caretta, in un' Area Marina Protetta che si estende a tutte le Egadi (e che la rende la riserva marina più grande del Mediterraneo): perchè in questo angolo di Mediterraneo l'unicità di natura e ambiente è un gioiello, e i gioielli si ammirano e si difendono. Inoltre, in questi fondali si estende un ampio tratto della prateria di Posidonia oceanica, e la Posidonia è un habitat unico, è il polmone del nostro mare: una presenza vitale per l’equilibrio dell’ecosistema marino.
Favignana, regina del mare. Fino a una decina d'anni fa era un titolo che le spettava di diritto e nessuno metteva in discussione. Delle 65 tonnare fisse siciliane, infatti, quella di Favignana era la più bella, la più famosa, la più ricca. "Torino", la chiamavano gli abitanti dell'isola, perchè lo stabilimento Florio dove si lavorava il tonno era grande, importante e motivo d'orgoglio quanto - immaginavano - doveva esserlo la famosa fabbrica delle automobili italiane, su al Nord. E quando "a Torino si cucìa", nei pentoloni dello stabilimento si cuoceva il tonno, l'odore si spandeva dappertutto, impregnava aria e vestiti, ed era un odore buono, di ricchezza, di benessere diffuso; perchè quel pescione di origine atlantica capace di raggiungere anche alcune centinaia di kg di peso dava da mangiare a tutti, tutto l'anno, anche se in realtà il periodo della pesca durava appena 40 giorni, tra la primavera e l'estate. Giorni importanti e carichi di aspettative, quelli, di lavoro intenso, faticoso e preciso, scandito da gesti e canti rituali nei quali riecheggiano civiltà vicine e lontane nello spazio e nel tempo: la pesca del Thunnus thynnus thynnus (tonno rosso) si praticava in Sicilia già ai tempi di Omero, ma furono i Normanni fra l'XI e XII sec. a codificare il sistema della tonnara fissa, una trappola composta da reti che una volta calata in mare e ancorata al fondo rimane stabile per tutto il periodo.
Lo strumento era - ed è - costituito da alcuni km di reti, disposte a formare una serie di "camere" comunicanti entro le quali i tonni venivano indotti a entrare (ma da cui non potevano più uscire), fino ad arrivare ad occupare anche l'ultima "camera": quella della morte. Una volta riempita anche quest'ultima, il rais impartiva l'ordine di fare mattanza: i tonnaroti arpionavano i tonni e li caricavano sulle barche. Erano ore di tensione e sforzi fisici pesantissimi, ma perfettamente sincronizzati, scanditi e ritmati dalle ancestrali cialome, un po' preghiere e un po' canti propiziatori, suggestivo esempio di sincretismo religioso che mescola elementi ebraici, arabi, cristiani. Come il canto dell'Aja Mola, una preghiera a Dio e al mare in forma responsoriale tra un corifeo e i tonnaroti-cantori, che nel ritornello ripetono parole d'origine araba: aja mola, cioè ai ya mawla, "oh, mio Signore". A pesca finita, con le barche cariche di tonni, i tonnaroti si dirigevano verso lo stabilimento della tonnara, dove sarebbe subito iniziata la lavorazione del pescato.
In tutto questo, la figura del rais giocava un ruolo fondamentale. Capo supremo e carismatico della squadra dei tonnaroti, alla sua esperienza e abilità si affidava il benessere dell'intera comunità. Era lui a decidere quando e dove andava calata la tonnara, a seconda del giorno, del vento, delle correnti, della luna... Non poteva concedersi errori, incertezze o ripensamenti: ne andava del buon esito della pesca, e dalla pesca dipendeva la vita del villaggio. Per questo il rais era un personaggio rispettato e venerato, e la sua fama era legata anche alla capacità di far ricchi i suoi uomini: la paga dei tonnaroti era infatti minima, il loro guadagno veniva dal migliorato, una quota sul pescato. Più tonni si catturavano, più i tonnaroti guadagnavano. E poiché in passato non c'erano scuole che t'insegnavano quando girano le correnti o s'interrompono le grandi mareggiate del Nord, si diventava rais a 40-50 anni, dopo almeno 30-40 anni di pratica in tonnara, sulla scorta di esperienze e segreti del mestiere trasmessi da padre in figlio. Un sapere che ha attraversato intatto i secoli ed è giunto fino a noi, e di cui oggi sono rimaste depositarie solo pochissime persone, come Gioacchino Cataldo, rais di Favignana dal 1996 al 2007, "tesoro umano vivente" iscritto nel Registro delle Eredità Immateriali della Sicilia.
Era il 2007 quando Cataldo impartì l'ordine di mattanza, l'ultima dello storico ex-stabilimento Florio, un luogo che per decenni aveva garantito la prosperità dell'isola ed era stato anche centro di innovazioni. Qui infatti Ignazio Florio aveva introdotto il rivoluzionario metodo della conservazione del tonno sott'olio, dopo la bollitura e il confezionamento in scatolette di latta con l'apertura a chiave. Quest'ultimo sistema veniva già utilizzato per le sardine e la carne in scatola, ma Florio lo applicò al tonno e fu un successo clamoroso.
Il 2007 fu un anno triste: troppo pochi i tonni pescati, il prezioso pesce nel Mediterraneo era a rischio scomparsa. Non per colpa delle tonnare fisse come quella di Favignana, ovviamente, ma dell'inquinamento chimico e acustico del mare e della pesca intensiva, indiscriminata e praticata tutto l'anno con le reti a circuizione - le tonnare volanti - che era stata adottata a partire dagli anni '60. Piccoli o grandi che fossero, giovani o adulti, i tonni venivano catturati tutti indistintamente, e presto la loro popolazione diminuì in maniera preoccupante, al punto da costringere le autorità europee a metterne al bando la cattura per alcuni anni, e in seguito a porre dei limiti, delle quote, molto rigide, che vengono stabilite di anno in anno. Delle 65 tonnare siciliane, perciò, oggi sopravvive solo quella di San Cusumano, che però lavora pesce congelato di provenienza atlantica, e non il pregiato tonno rosso di Favignana, bensì il ben più modesto "pinna gialla". La tonnara di Favignana cessò di operare nel 2008, perdendo in tal modo anche il suo diritto alle quote tonno.
Ma se l'attività di tonnara dell'ex-stabilimento Florio ha lasciato il posto, negli ultimi anni, ad un luogo di racconto della sua stessa vita - un suggestivo museo multimediale e un vivace centro culturale che attirano ogni anno decine di migliaia di visitatori da tutto il mondo - i favignanesi non hanno mai smesso di sperare di tornare a sentire i canti delle cialome e l'odore del tonno che bolle nei pentoloni. Ridare alla tonnara di Favignana il suo diritto ad esistere e lavorare oggi significa anche riconoscere la valenza storico-culturale, antropologica e soprattutto economica della pesca artigianale. Una pesca leale, selettiva, che rispetta il tonno perchè cattura solo esemplari adulti, che si sono già riprodotti, e lascia andare i pesci più piccoli e giovani. Perfino la mattanza, per quanto cruenta possa apparire, è più sostenibile di altri sistemi di cattura, perchè porta il tonno ad una morte più rapida di quel che sembra. Per questo, di recente il Dipartimento della Pesca mediterranea della Regione Sicilia si è impegnato in un progetto di rilancio delle tonnare fisse della sua costa occidentale: riportare in attività tonnare come quella di Favignana significherebbe infatti creare le basi per un indotto economico che unisce la valorizzazione della pesca artigianale alla sua capacità di attrarre turismo e fare cultura. I tempi sono favorevoli, vuoi per una nuova sensibilità ambientale, vuoi per il perdurare in Italia di una situazione economica ancora difficile: il rilancio della pesca artigianale e del lavoro delle tonnare sarebbe di grande aiuto per l'occupazione locale. Inoltre, la pratica della pesca con la tonnara fissa permette facilmente di certificare il prodotto, a tutto vantaggio del consumatore finale, mentre la qualità dello stesso tonno è di alto valore aggiunto: un tonno rosso che superi i 200 kg può valere sul mercato oltre 100 mila euro.
E mentre nelle sedi istituzionali si dibatte e si discute di autorizzazioni, quote e leggi presenti e future, nelle ampie sale silenziose dell'ex-stabilimento Florio vasceddi, varcazze e muciare, le tradizionali imbarcazioni di tonnaroti e rais, riposano. Immobili, fiduciose, con la prua rivolta al mare. E il mare è la' fuori, e le aspetta, con le sue sfide quotidiane e i suoi tonni rossi, ormai sempre più numerosi, e il vento caldo che spira dall'Africa.
Credits:
E.Tosi