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Viaggio in Italia

Collettivo Contrails

| Massimiliano Donati | Valeria Ferraro | Massimo Gorreri | Cristina Maestri | Massimo Marazzini | Michele Martinelli | Emiliano Negrini | Giulio Nori | Valeria Sacchetti |

Come sarà l'Italia?

Andrà tutto bene, si osserveranno maggiore coesione o emergeranno nuove divisioni, tutto tornerà nei binari di sempre o nulla sarà più come prima e forse sarà meglio così? Come cambieranno vita e abitudini degli italiani, se cambieranno, a partire dall'estate 2020? Che ne sarà per esempio delle vacanze in Italia, rituale laico officiato con precisione estrema dalla gran parte della popolazione per tutto l’arco della vita, generazione dopo generazione? Gli italiani andranno al mare, si sdraieranno in spiaggia o faranno una passeggiata nei boschi in montagna? E gli stranieri torneranno a visitarli, come accadeva sempre di più negli scorsi anni? Continuerà il fenomeno di gentrificazione turistica delle grandi città d’arte e dei piccoli borghi più pittoreschi? O è tutto finito, tutto da ripensare? La certezze, al momento, sono poche: l'estate è passata ma non è ancora tempo di bilanci. Spostarsi si è rivelato più scomodo, con regole di distanziamento, obblighi di protezioni personali su navi, treni, aerei, autobus e l'automobile è emersa come mezzo privilegiato per un turismo più di prossimità. “Distanziamento” è stata la parola più usata sui quotidiani e negli appelli del Governo nei mesi estivi, ma sulle spiagge, nei parchi, in città, in montagna, quale realtà si è osservata? Chiusure e ingressi scaglionati non hanno tenuto i bambini lontani dai parchi giochi e gli stabilimenti balneari hanno riaperto e si sono affollati nonostante stringenti regolamentazioni dalla confusa applicabilità. Il Paese, nel suo insieme, sembra aver tenuto, essersi adattato, aver dimostrato una resilienza inaspettata ma ordinata, pur nella difficoltà.

E ora? Le piste da sci accoglieranno gli sportivi a numero chiuso? Città e musei andranno prenotati con mesi d’anticipo? E i concerti, i cinema, le grandi e piccole mostre, i ristoranti nei mesi invernali? L’epidemia causata da SARS-CoV-2 potrebbe sancire la “fine” del turismo di massa e aumentare l'interesse per i piccoli paesi e borghi a discapito delle grandi città d'arte, o al contrario lasciare tutto “quasi invariato”, soltanto con qualche metro di distanza in più, non soltanto fisica. Le vacanze e il tempo libero degli italiani saranno insomma sicuramente diversi, e altrettanto è la ripresa lavorativa a settembre. Come vanno al lavoro gli italiani? Rimangono a casa davanti a uno schermo o prendono i mezzi pubblici per rientrare in uffici probabilmente diversi? Quanti stanno scegliendo l'automobile, uno per auto, peggiorando un già gravissimo problema ambientale in particolare nel centro-nord del Paese?

E i tanti che perderanno il proprio posto di lavoro lo ritroveranno? Sapranno resistere tra cassa integrazione e riduzione delle commesse, potranno reinventarlo? E quanti vorranno realmente farlo, quanti sceglieranno di cambiare vita? Molte sono le voci, molte le teorie, molti parlano di un’opportunità da non sprecare, ma sono realmente pronti a coglierla?

Cosa cambierà, se tra un anno passerà?

Cerchiamo di immaginare il Paese che sarà: sarà lo stesso di prima, solo un po' più povero e spaventato, o cambierà il modo di vivere le città, i territori interni, la mobilità, le vacanze, il lavoro, le relazioni umane, i conflitti sociali ed economici, il modo di vivere il tempo libero e i momenti di festa? L'amore e le relazioni?

Tracce e indizi sono già tra noi, e a ben guardare le prime avvisaglie di un fenomeno che potrà essere anche di lungo periodo erano ravvisabili da tempo agli occhi dei più attenti. È un'antropologia del cambiamento quella che oggi deve essere messa in campo: un'analisi dettagliata e documentata di come l’Italia e il suo tessuto sociale, economico, forse anche spirituale si stiano adattando, mutando, accettando compromessi e inseguendo utopie. La pandemia è in una certa misura frutto della globalizzazione, che da tempo trascina con sé e accelera quattro grandi crisi: ambientale, economica, sociale, identitaria. Sarà il coronavirus a scatenare un cambiamento ormai atteso da tutti, considerato inevitabile ma sistematicamente rimandato? O sarà soltanto un altro gradino sceso in una decadenza senza apparenti ostacoli e contromisure?

L'Italia, prima nazione occidentale ad essere travolta dalla pandemia, da troppo tempo abituata a considerarsi "periferia" del mondo o, tutt'al più, "bel Paese" per vacanze romantiche, è ancora una volta al centro di un fenomeno di portata storica. È tempo per un nuovo “Viaggio in Italia”, tra Goethe e Ghirri: non solo per raccontare il presente e il suo cambiamento, ma nel tentativo di immaginare il futuro. Sapendo che tra un anno passerà.

Forse.

Il 9 marzo 2020 viene annunciato il Lockdown

CAPITOLO I

© Massimo Marazzini

I quaranta giorni di aprile Immaginario

Il lockdown è il separare il dentro dal fuori.

Del dentro, mobili, oggetti e metri quadrati, mi riapproprio lentamente, ripulisco, rimisuro, decido di buttare ciò che ho sempre conservato, brucio l’ulivo. Il dentro è un contatto nuovo col corpo della mia famiglia, davvero corpo unico, da preservare con uno stesso dispositivo di protezione individuale.

Il fuori (non è il silenzio della strada) lo guardo da lontano, dalla finestra.

La televisione è la mia finestra. Ubiqua e sincronica, batte il tempo nel suo fluire lento, mi lascia l’illusione di poter scegliere cosa vedere, cosa sapere, quando reggere o allentare la tensione e l’angoscia.

Lo faccio con uno zapping caotico e allucinato, fra una lista di canali lunga abbastanza da non impararla a memoria. Ci sono sempre un bollettino che ripete “purtroppo anche oggi dobbiamo registrare un aumento…”, la pulsione alla vita che riesplode quando Marylin entra nell’inquadratura, le nuove schermate a rettangoli con testoline distorte e voci metalliche, come parlassero dallo spazio.

Cerco, scatto e metto in fila, creo il mio immaginario, alla lettera, scolpisco nel marmo le immagini che comporranno, assieme a 30 parole, la mia memoria della pandemia, se la vedrò passare (ho un pensiero curioso ma chiaro: due nomi nuovi, Codogno e Vo’ Euganeo, mai sentiti, diventeranno eponimi di tragedia. Si aggiungeranno, per me, a Osoppo, Buia, Tarcento - terremoto del Friuli – Pescopagano – dell’ Irpinia - Incisa Scapaccino – metanolo. Arriveranno ad evocare, col solo nome, tutto il conosciuto dell’evento, così Ustica, Rigopiano, Cogne).

Fotografo il mio presente dilatato e scandito: i riti religiosi e civili di aprile, tradizionali o straordinari, mi sembrano emotivamente ancora più partecipati per sentimento di comunità, per esorcizzare la pandemia, perché forse andrà tutto meglio. Venerdì Santo, Pasqua, ostensione straordinaria della Sindone, preghiera cantata di Bocelli. Tanto tricolore, il 25 aprile, il Primo Maggio. Tante maglie azzurre, abbiamo vinto partite epiche e mondiali contro i grandi, vinceremo anche la malattia.

E’una novità, la tragedia sta avvenendo adesso, non è un terremoto, un’inondazione, un crollo, eventi momentanei e puntiformi nel tempo, con un prima e un dopo, ha un lungo durante da gestire e Il rito aiuta la comunità, da sempre, a ritrovarsi. Allo stesso modo il mito moderno: Marlon Brando si rialza tumefatto e ci riporta a lavorare, in Fronte del porto.

La televisione continua ad essere la mia finestra, mi affaccio, rubo perfette inquadrature costruite da altri, metto in fila (il fotografo vuole sempre mettere ordine nel mondo e nel tempo), adesso lo so, ciò che vorrò ricordare, intatto, prima che l'anacronismo vi sovrapponga altre conoscenze o un diverso stato d'animo.

Ho smesso di ritoccare questo lavoro l’otto maggio duemilaventi.

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CAPITOLO II

© Massimo Gorreri

"UNA GRANDE FAMIGLIA"

La pandemia di COVID-19 sta avendo un impatto travolgente sulle persone e sulle comunità, scardinando le modalità e le possibilità di comunicazione all’interno del contesto ospedaliero. La condizione di isolamento dei pazienti in reparti dedicati, assistiti da personale medico-sanitario, ha reso necessaria l’adozione di un nuovo assetto comunicativo tra questi ultimi, i malati e i loro congiunti. Nei reparti ospedalieri dedicati a COVID-19 spesso le situazioni sono drammatiche e, pur con la dedizione dei medici e degli altri professionisti della sanità nel mantenersi costantemente in relazione con ciascuno degli assistiti, talvolta le condizioni, e in particolare lo stato clinico dei contagiati in isolamento per ragioni di contenimento, ostacolano la possibilità di un’efficace comunicazione.

Ma la condizione di stress psicologico, fisico ed emotivo non riguarda solamente i pazienti e i loro familiari. Riguarda anche il personale ospedaliero che lavora senza sosta, nonostante il timore di ammalarsi e mettere a rischio la vita dei propri cari, in condizioni di elevato stress post-traumatico, in sovraccarico fisico e psicologico causato da un afflusso di richieste eccedenti le risorse disponibili. In tale contesto il ruolo del personale medico-sanitario assume una centralità inedita. Infatti, oltre a garantire una regolare assistenza sanitaria in condizioni straordinarie, è chiamato a vicariare il ruolo relazionale dei congiunti e ne incarna l’unico tramite possibile.

Una pacca sulla spalla e un semplice gesto di “ok” con le dita da parte dei sanitari possono fare la differenza, perché oltre a somministrare farmaci si somministrano grandi dosi di umanità.

CAPITOLO III

© Massimo Gorreri

© Massimiliano Donati

Nella Terra della Speranza e della Rabbia ( parte prima )

Le conseguenze di un lungo declino e di un brusco risveglio.

Su tutto, la conseguenza dell'epidemia di SARS-CoV-2 su un Paese diviso, rassegnato e rancoroso, sembra essere la rabbia, la ricerca cieca di un colpevole a cui addossare ogni responsabilità e su cui scaricare una frustrazione devastante, che isola e incattivisce. Una rabbia che nasce da lontano, che è figlia di un modello economico e sociale sbagliato, diseguale, deformante e alienante, che la globalizzazione ha eretto a modello e bandiera da inseguire, sempre troppo veloce, sempre troppo lontana. È una rabbia che è cresciuta silenziosa nelle periferie e nelle scuole, nelle botteghe e negli uffici, nell'apatia e nella partecipazione delusa, nel fallimento e nell'impotenza. Testimonianza dell'incapacità di reagire a una situazione troppo radicata, troppo ingiusta, troppo monolitica per essere combattuta in modo efficace. La rabbia si è fatta possibile lettura della realtà, convincente nella sua acriticità e elettrizzante nella sua semplicità. Un percorso possibile, per molti l'unico. Un cambiamento per chi se ne sentiva incapace, una voce per chi si sentiva muto, un'identità per chi si sentiva perduto, un'appartenenza per chi si sentiva solo, un ideale per chi si sentiva smarrito.

Le conseguenze del brusco risveglio dopo un lungo declino sono nella banalità di un nuovo male che sembra aver contagiato l'Italia al pari del virus e non solo grazie a esso. La rabbia.

testo di Emiliano Negrini

Parma 30 maggio 2020
Bologna 30 ottobre 2020
Bologna 28 ottobre 2020
Bologna 28 ottobre 2020

Nella Terra della Speranza e della Rabbia ( parte seconda )

© Valeria Ferraro

Milano: le proteste dopo il lockdown.

Milano – 2 Giugno 2020. A pochi giorni dalla fine del lockdown per l’emergenza Covid-19, nel capoluogo lombardo c’è chi ha iniziato ad esprimere nelle piazze e nelle strade il proprio malcontento per le misure restrittive, che hanno colpito diverse categorie di lavoratori, e per la gestione inefficiente dell’emergenza che, nella sola Milano, conta 23.094 casi positivi (dati della Regione, pubblicati il 1 giugno 2020).

Per il giorno della Repubblica, nella storica piazza del Duomo, è stata indetta una manifestazione dei partiti del centro destra (Lega Salvini, Fratelli d’Italia e Forza Italia) contemporaneamente a quella nazionale nel centro di Roma. L’annuale commemorazione per l’abolizione della monarchia è stata organizzata rispettando il distanziamento previsto per l’emergenza Covid diventando, però, un’occasione di protesta contro il Governo, per i rappresentanti di diverse categorie professionali, come imprenditori, commercianti e, soprattutto, lavoratori con partite iva.

Nella piazza non sono mancate, però, le contestazioni all’amministrazione regionale di destra e, così, un gruppo di ragazzi ha chiesto le dimissioni del presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana e l’assessore al Welfare, Giulio Gallera, a seguito dei 16.131 decessi e 89.018 casi positivi registrati sul territorio (dati pubblicati dalla Regione Lombardia, il 1 giugno 2020).

A pochi giorni di distanza, una seconda manifestazione si è svolta nei pressi della Stazione Centrale di Milano, in solidarietà alle proteste americane per l’assassinio di George Floyd, un afro-americano brutalmente ucciso dalla polizia a Minneapolis il 25 maggio. Diverse realtà impegnate in campagne contro il razzismo (come Abba Vive, Black Diaspora Art, Festival DiversCity, Todo Cambia, Razzismo Brutta Storia, Afro Fashion Week Milano) hanno promosso l’evento che ha visto l’adesione di altre associazioni civili e una forte partecipazione di ragazzi e ragazze scesi nelle strade anche in risposta al clima di pressione sociale vissuta durante il precedente periodo.

Ma, a fronte della conta del costo in termini di vite umane e perdite economiche, altre due manifestazioni sono state realizzate il 20 giugno per mettere in luce le responsabilità della Regione Lombardia nella gestione dell’emergenza sanitaria. La prima manifestazione, promossa dal PD, Arci, Sentinelli di Milano e altre organizzazioni aderenti, al grido di “Salviamo la Lombardia”, si è svolta in piazza Duomo, con i partecipanti che hanno avanzato richieste per il rafforzamento del servizio sanitario e la revisione della legge regionale n.23/2015 (la cosiddetta “sperimentazione Maroni”).

La seconda manifestazione, sotto il Palazzo della Regione, è stata promossa dai sindacati, dai collettivi di sinistra e dalle Brigate Volontarie per l’Emergenza che, durante i mesi del lockdown, sono emerse come una delle realtà sociali più significative, attraverso l’organizzazione di attività di distribuzione cibo, farmaci e assistenza ai meno abbienti.

Infine, tra le manifestazioni-denuncia, non sono mancate quelle per i diritti delle donne. La protesta del 26 giugno “I panni sporchi non si lavano a casa”, in piazza Missori, è stata svolta in contemporanea con quelle organizzate in altre città italiane, al fine di denunciare la discriminazione sul lavoro subita da diverse donne durante i mesi precedenti e, soprattutto, sensibilizzare al tema della violenza domestica, una realtà vissuta da diverse donne ed esasperata dalla convivenza forzata dei mesi di chiusura.

Questo spaccato variegato e non uniforme delle “voci del dissenso nei luoghi pubblici, che tra l’altro vede la crescente presenza dei “negazionisti”, è stato interpretato come una richiesta di attenzione alle categorie professionali e sociali più vulnerabile e il possibile l’inizio delle proteste per la crisi economica e sociale che accompagna l’emergenza sanitaria.

Non sono mancate le critiche di chi ha notato il mancato distanziamento sociale durante questi eventi, evidenziando come -sia a destra che a sinistra- la presenza di assembramenti nelle piazze sia una possibile causa di contagio. Un timore condivisibile, in fondo lo stesso Presidente Trump, nel suo secondo briefing sul coronavirus, aveva rilevato il legame tra una seconda ondata e le proteste BLM, ma anche un possibile motivo per una facile repressione per chi esprime pubblicamente il proprio malcontento.

Nella Terra della Speranza e della Rabbia ( parte terza )

© Valeria Ferraro

Napoli - novembre 2020

Napoli, le proteste contro la chiusura, ospedali al collasso, il settore del turismo in ginocchio e il caso di aziende come la Whirlpool che ha dichiarato la chiusura, mettono a dura prova il tessuto sociale e la tenuta psicologica dei cittadini che manifestano il loro disappunto.

11 novembre 2020

CAPITOLO IV

© Massimiliano Donati

Se io avessi previsto tutto questo

La Romagna è la California italiana. 100 km di spiagge che offrono tutti i servizi turistici possibili: si va dalle pensioni a conduzione famigliare agli hotel a 5 stelle; dagli stabilimenti balneari per famiglie alle spiagge per i surfisti (perché in Romagna si può fare surf). Stando ai dati di Confartigianato, nel 2018 più di 16 milioni di turisti hanno soggiornato nelle infrastrutture della sola provincia di Rimini. Negli anni del boom turistico, si è fatta larga una figura che è man mano diventata caratteristica della zona: il bagnino.

Sentinella che vigila sulla sicurezza dei bagnanti, ma anche vero divo, con l’immancabile schiera di belle ragazze, inesorabilmente colpite dal fascino del Baywatch nostrano. Ma l’immagine di macho è solo un lato della medaglia: loro e i gestori degli stabilimenti balneari sono quelli che realmente portano avanti tutta la gestione della spiaggia.

L’attuale crisi mondiale ha rallentato, e in parte bloccato, i flussi turistici tanto che i dati ufficiali dell’assessorato del turismo della regione delineano un crollo dell’ 83% di presenze sul territorio nel mese di maggio, rispetto lo stesso periodo dell’anno precedente.

La grande macchina del turismo però è riuscita regolarmente entrare in funzione, sopratutto grazie alla gente della Romagna che come sempre non si è arresa ed ha avuto il coraggio di aprire l’attività nonostante tutte le difficoltà del periodo. Con un mare che non si può certo definire caraibico, sono usciti a testa alta dall’invasione della mucillagine del 1989: 30 anni fa il mare si ridusse ad acquitrino per colpa del fenomeno dell’eutrofizzazione e per gli operatori turistici più o meno equivaleva al crollo della Borsa americana nel 1929, ma lavorando sulle infrastrutture e anticipando un cambiamento già in atto nel modo di fare vacanza riuscirono a confermarsi leader in Italia nel settore dell’ospitalità (oggi per presenze turistiche sono dietro solo a Roma).

Quest’anno non hanno voluto sentir parlare di box in plexiglass in spiaggia, ma per garantire il distanziamento sociale hanno applicato alla lettera tutti i protocolli richiesti dal ministero della Sanità.

E questa volta ce l’hanno parzialmente fatta a salvare la stagione: i dati di Assoturisimo hanno evidenziato un inaspettato quasi “tutto esaurito” per le prime settimane di Agosto e sono riusciti a contenere al 27,1% la perdita del fatturato per il trimestre estivo (nello stesso trimestre, le città d’arte della regione hanno segnato perdite oltre il 50%)

A sentire i bagnini storici “non è più come una volta” ma sembra che anche per quest’anno la battaglia economica sia quasi vinta.

CAPITOLO V

I PARADOSSI DELLA LUCE

© Emiliano Negrini

Il futuro del turismo di massa in una spiaggia a numero chiuso

La Pelosa di Stintino, nel nord-ovest della Sardegna, è considerata tra le più belle spiagge del Mediterraneo: sabbia bianca finissima, acqua cristallina, una torre aragonese per l’avvistamento dei saraceni che si affaccia sull’insenatura e l’ancora incontaminata isola dell’Asinara con il suo parco nazionale a fare da quinta naturale. Su tutto una luce bianchissima, nitida e abbacinante.

Come tutte le meraviglie naturali La Pelosa è diventata negli ultimi vent’anni meta di un turismo intensissimo, concentrato nei mesi estivi ma che contribuisce con numeri di frequentanti particolarmente alti all’erosione dell’arenile e alla compromissione di un ecosistema costiero molto delicato, fatto di dune mobili e correnti marine capaci di cambiare in poco tempo la fisionomia della spiaggia spostandola, ingrandendola o più spesso riducendola. Per questo motivo da alcuni anni la spiaggia è ad accesso limitato: per potersi bagnare nelle sue acque

e stendere la stuoia in materiali vegetali, che non trattengono sabbia, è necessario prenotarsi tramite sito web, pagare un biglietto, farsi riconoscere all’ingresso e trovare uno spazio per sdraiarsi.

L’afflusso turistico non danneggia però soltanto la spiaggia, sporcandola e rimuovendone la sabbia, azioni vietate e vigilate costantemente da pattuglie in divisa, ma ha provocato fin dagli anni Sessanta un’intensa edificazione della penisola alle spalle del mare: un grande hotel a forma di S alto quattro piani, il Roccaruja che la famiglia Moratti ha voluto direttamente affacciato sul mare e sulle dune oggi protette e una serie di villette in parte decadute nel tempo e oggi in corso di progressivo recupero edilizio cementano l’aspro Capo Falcone, il promontorio alle spalle della spiaggia.

Come ha reagito la spiaggia-gioiello all’emergenza da SARS-CoV-2? Come la gran parte delle mete turistiche italiane si è data un regolamento di accesso, ha ridotto ulteriormente i numeri massimi consentiti, ha imposto l’uso della mascherina negli spostamenti e nelle passeggiate e chiesto collaborazione ai turisti per evitare di trasformare un paradiso, seppur largamente già compromesso, nel fulcro di un nuovo focolaio.

Visitare La Pelosa nell’estate 2020 significa immergersi nei paradossi dell’Italia contemporanea, una terra di estrema bellezza dominata da una luce bianca, scintillante, mediterranea, ma allo stesso tempo luogo di assurde devastazioni ambientali ed edilizie, rese possibili dall’interesse di pochi nel disinteresse di molti.

L’emergenza da COVID-19 ha reso ulteriormente evidente questa dicotomia, mostrando l’insostenibilità di un modello turistico che fa dei grandi numeri l’obiettivo principale e che dimentica troppo spesso la finitezza delle risorse sfruttate e i rischi che questo sfruttamento intensivo comporta per i territori, il loro ambiente naturale, i loro abitanti, i turisti stessi.

I paradossi della luce.

CAPITOLO VI

APE - IL TEATRO VOLA IN STRADA

© Michele Martinelli

Nelle parentesi più difficili della nostra esistenza, quando il baricentro personale oscilla, capita a volte una illuminazione prodigiosa che ribalta le carte in tavola. Invece di scegliere la sopraffazione lo spirito, l'intelletto scelgono l'alternativa, un nuovo volto.

Ed ecco comparire in questa epoca di isolamento sociale e confusione psicologica, un messaggio di fiducia, anche di festosità, in veste di rappresentazione teatrale itinerante attraverso una semplice Apecar. Il teatro va nelle piazze, nelle periferie, si insinua tra la gente in modo inatteso e sconvolge la tristezza comune, regalando un pizzico di allegria e di speranza.

E' un progetto importante l'ApeTeatrale, sostenuto dal Teatro del Giglio di Lucca, i cui ideatori e protagonisti sono i due attori professionisti, Marco Brinzi di Lucca e Caterina Simonelli di Viareggio, fautrice della compagnia teatrale IfPrana, amici, ricchi di passione, determinati a trasmettere valori positivi.

Arlecchino e Balanzone, due archetipi del teatro italiano, sono i protagonisti della rappresentazione. Essi incarnano la volontà di continuare a esistere, come maschere e attori, nonostante la chiusura dei teatri e la mancanza di un pubblico unito, posseduti dalla paura di "re-sistere" ad un momento così complesso per l'umanità. Si spostano e si posano per le città con la loro Ape, mezzo iconico, che rappresenta la ripartenza del dopoguerra italiano, riportandoci ad antichi sapori di vita e alla strada come luogo di incontro e scambio. Ma l'ape è anche un insetto impollinatore, fondamentale per il mantenimento della biodiversità, risulta così significativo l'accostamento del teatro e della cultura in genere ad un animale così utile, ricordandoci che la cultura non è un bene accessorio.

Dietro tanta passione c'è impegno, lavoro, fatica. E' un percorso che impone la riflessione, guardare le persone senza filtri, con occhi schietti, è composto da tanti piccoli passi che ogni volta riportano sulla scena non solo il dualismo mascherato e psicologico dei personaggi e di noi stessi, ma anche la capacità di costruire, risolvere impicci pratici, trovare sempre e comunque la spinta per allietare gli altri, anche se non sei proprio in piena forma. Un impegno che fa scaturire tenerezza e ammirazione, pone in risalto la perseveranza anche nei suoi tratti più pragmatici, dettagli spesso ignorati, fuggevoli istanti che a chi vuol vedere veramente appaiono carichi di significato che va oltre l'effimero. Non demordere mai, la mission è più importante della fatica.

Ma è soprattutto la celebrazione di un approccio generoso, ottimista e flessibile che invita a ricordare chi siamo e la nostra provenienza da ataviche generazioni che ci hanno lasciato in eredità pilastri di conoscenza e il seme della resilienza.

CAPITOLO VII

LA TREGUA

© Massimo Marazzini

Le chiedo cortesemente di disinfettarsi le mani.

Adesso il problema sono gli asintomatici. E’ finita. Non è finita, non bisogna abbassare la guardia. Quest’anno non è la stessa cosa, ma io non sto a casa. Siamo in casa da tre mesi. Siamo abituati ad andare in vacanza da soli, anzi. Non siamo mai andati da soli. L’economia deve girare. Se non gira la salute non girano neanche i soldi. Il COVID va dove vanno i soldi. Non ho paura per me, ma per mia madre. Per mio padre. Per i miei figli. Mia suocera è anziana. Trovi posto dappertutto. Non ho trovato posto. Ho chiesto le posate usa e getta. L’acqua la porto da casa. Mi sono prenotato già in aprile. Non c’è stato bisogno di prenotare. L’ombrellone è compreso. Hanno abbassato i prezzi per trovare clienti. E’ ovvio che sia più caro perché hanno meno clienti. Chi li ha i soldi per andare in vacanza? Ho fatto il bonus vacanza. Avevo preso il biglietto Ryanair ma adesso sono indeciso. Certo non in treno e assolutamente no traghetto. Devo dire che un certo movimento c’è stato. Mancano gli stranieri. Non sono venuti i tedeschi. Qualche tedesco è venuto, sono mancati gli inglesi. I russi. Voi siete i primi, oggi. Speriamo in luglio. In agosto. Settembre ha salvato la stagione. Basta stare distanti un metro. Un metro e mezzo. Due metri. Devo dire che sono tutti molto disciplinati. C’è molta maleducazione. C’è disinformazione. Forse forse, c’è troppa informazione.

Malesco (VB)
Gravagna (MS), trattoria Da Marietta
Pieve Santo Stefano (AR), Piccolo Museo del Diario
Isola del Piano (PU), Monastero di Montebello
Acqualagna (PU), Santuario della Madonna del Pelingo
Novara, Cimitero Comunale
Pontremoli (MS)
Pontremoli (MS)
Frontino (PU) - Urbania (PU), Chiesa dei Morti - Sassocorvaro (PU), Rocca Ubaldinesca
Fossombrone (PU)
Mostra di Ulisse - Musei San Domenico , Forlì (FC)

Le chiedo cortesemente di disinfettarsi le mani.

Un attimo, per cortesia c’è già una persona. Ho prenotato sul sito, entriamo alle 11,30. Ho evitato la fila. Sono in fila, con la gente che mi sta appiccicata, ci sentiamo dopo. Abbiamo visto tutto senza fretta. Non vedo niente, mi si appannano gli occhiali. L’ideale è un appartamento per conto tuo. Tre cambi di lenzuola in una settimana. Abbiamo portato le lenzuola da casa. Ho dovuto mettere il plexiglass. Ho messo le linee per terra. Non sedersi. Lasciate libero questo posto. Ambiente sanificato. COVID free. Tax free. Soprattutto al mattino. Direi a mezzogiorno. Senz’altro la sera. Tengono gli aperitvi. Il gelato, un sacco. L’asporto. Consegna a domicilio. Se c’è un posto dove non vado è il mercato. Non rinuncio al ristorante. No no, eravamo all’aperto. Dentro ma con l’aria condizionata, cioè la filtrano. La messa è all’aperto. Non faccio la comunione. Dici “la pace sia con te” ma senza darti la mano. Metta bene la mascherina anche sul naso, grazie. Ho fatto una mascherina col sotto di un costume da bagno, elasticizzata. Che belle onde. La prima ondata. La seconda ondata.

Fano (PU), Lido 3
Cattolica (RN)
Urbania (PU)
Pesaro, pic nic rossiniano
Fano (PU), Ristorante Pesce Azzurro (Menù a 14 euro)
Urbania (PU), Santa Cecilia
Berceto (PR), Seminario
Parma, Galleria Nazionale

Le chiedo cortesemente di disinfettarsi le mani

CAPITOLO VIII

Credere in questo Tempo

© Cristina Maestri

Il Covid ha fatto irruzione nel nostro ‘tempo’: il nostro tempo individuale, quello sociale, quello affettivo.

Ha cambiato drasticamente anche il modo di vivere la fede per chi è credente. Il libro biblico dell’Esodo racconta l’uscita del popolo di Israele dall’Egitto dove la sopravvivenza era assicurata: almeno la pentola della carne era assicurata dagli Egiziani-padroni. Ma Dio chiede sempre qualcosa che scardina certezze consolidate. Così, dalla relativa tranquillità dell’Egitto gli Ebrei si ritrovano a fare i conti con il deserto. Già, la vita si presenta a volte come un deserto e il virus ha ‘desertificato’ le città, i paesi, i cuori....

Borgo Val di Taro: una comunità e il suo parroco, don Angelo Busi, dentro allo stesso ‘deserto’. Poi la scoperta: non sono più necessarie ‘le’ parole, occorre ‘la’ parola. Credere è anche questo: ri-cominciare da dove ci siamo persi. Dove l’uomo dice ‘perduto’, Dio dice ‘tornato in vita’. In questo deserto, la fede è solo un segnale di vita.

La bibbia è il testo sacro della religione cristiana, punto di riferimento del fedele durante i mesi di lockdown.
Mons. Angelo Busi, 66 anni, Vicario episcopale della zona 7 Val Taro – Val Ceno è sacerdote della comunità valtarese dal 2004. Gestisce, inoltre, la Scuola dell’infanzia “ Casa del Fanciullo” di Borgo Val di Taro.
Nel 2020, per la prima volta nel suo percorso sacerdotale, si è ritrovato nel vuoto: vuota la chiesa, assenti i parrocchiani, angosciato il cuore.
Nel febbraio 2020, per la prima volta da che se ne ha memoria, a causa della Pandemia da Covid 19, le acquasantiere nelle chiese sono state svuotate dall’acqua benedetta.
A maggio 2020 inizia la fase 2 dopo il lungo lockdown che ha colpito l’Italia. I fedeli tornano in chiesa.
A causa della Pandemia da Covid 19 le porte delle chiese (vuote) vengono lasciate spalancate per evitare contatto con maniglie e superfici.
Don Angelo riproduce un brano di Morricone durante i preparativi della chiesa per la festa Patronale, luglio 2020. Il noto compositore si è spento da qualche giorno.
La pandemia ha condizionato la nostra gestualità e la sua percezione.
Luglio 2020, a causa della pandemia la celebrazione del Santo Patrono ha subito variazioni.
Luglio 2020, divieto di svolgere processioni per evitare assembramenti.
Il lume della speranza e’ sempre acceso.
La Pandemia da Covid 19 non ha reso possibile eseguire le funzioni funebri durante il lockdown. Don Angelo, in fase 2, ha organizzato momenti di preghiera per i defunti.
La Corale Lirica Valtaro accompagna la celebrazione del Santo Patrono esibendosi all’aperto.
Molti anziani partecipano alle funzioni del sabato pomeriggio, meno affollate.
Fede e speranza in un futuro più sereno per i neo battezzati.
Franco Brugnoli, musicista borgotarese, accompagna una funzione suonando l’organo.
Maestra Bianca Musi, 87 anni, catechista per molti anni a Borgo val di Taro, non manca alle funzioni religiose. Durante il Lockdown ha seguito le celebrazioni trasmesse in diretta video.
Gino Toscani, 71 anni, all’ interno dell’ Emporio solidale, servizio che non si è fermato durante il lockdown, continuando nell’aiuto dei più bisognosi.
Pacmogda Clèmentine autrice del libro “BASNEWENDE” durante la presentazione del romanzo in cui racconta la sua vita in Africa, fatta di sacrifici e profonda fede.
Don Angelo seduto in mezzo alla sua comunità, un fedele tra i fedeli.

CAPITOLO IX

TRAM 19

Capolinea: Piazza dei Gerani

Castani/Gelsi

Parlatore

Bresadola

Prenestina/Tor de’ Schiavi

Prenestina/Olevano Romano (Villa Gordiani)

Prenestina/Irpinia

Prenestina/Telese

Prenestina/Acqua Bullicante

Prenestina/Largo Preneste/ Conti (ex Snia Viscosa)

Prenestina/Gattamelata

Prenestina/Giussano

Prenestina/Giovenale

Piazzale Prenestino

Prenestina(Officine ATAC)

Prenestina/Caballini

Scalo San Lorenzo (Porta Maggiore)

Scalo San Lorenzo/Talamo

Scalo San Lorenzo/Sardi

Reti

Verano/De Lollis

Verano (Cimitero monumentale)

Università La Sapienza

Regina Elena/Viale dell’Università

TRAM 19

© Valeria Sacchetti

Mi sarebbe piaciuto scrivere che questo lavoro l’ho realizzato per documentare il percorso antropologico, artistico e architettonico del tram 19 oppure che, spinta dall’amore per le due anime della città romana; quella popolare del quartiere Prenestino e quella più elegante del centro storico, ne abbia voluto dare testimonianza.

A ben guardare però il mio viaggio non è completo, ad un certo punto si ferma, e questa scelta non è stata dettata da una precisa intenzione ma da una necessità molto più importante.

A fine novembre a seguito di un ictus mia madre è stata ricoverata d’urgenza presso uno degli ospedali del centro e da lì è iniziato per me e per lei, un calvario durato venti giorni.

L’ospedale, l’unico che nella capitale disponeva di un pronto soccorso no covid, era assediato ogni giorno dai parenti che, ammassati all’unico sportello informazioni disponibile, richiedevano notizie a gran voce dei congiunti lì ricoverati.

Ogni giorno raggiungevo questo posto sul tram 19 con il cuore in gola, ho iniziato a fotografare per non pensare a quello che stavo vivendo. Mi identificavo a tal punto con i miei soggetti che avrei voluto essere uno di loro: i ragazzi in bicicletta, le persone a passeggio nel parco romano di Villa Gordiani, la signora ferma nel traffico e tanti altri.

In quel triste periodo pioveva sempre e la pioggia contribuiva ad aumentare i disagi, nel pronto soccorso mia madre venne lasciata quattro giorni su di una barella e si prese la polmonite.

L’unico giorno in cui potei vederla non era cosciente ma sedata da giorni, il suo cellulare era spento, mi ricordo che mi disse solo: “ Ho freddo”.

Nei corridoi le barelle erano piene di malati e non c’era posto per nessuno nei reparti, convivevano in una stanza quasi una decina di persone, il personale era stanco e aggressivo, mi sentii sola come non mai e continuai a fotografare.

Sulla Prenestina i murales si susseguivano uno dopo l’altro e mi passavano veloci dentro gli occhi mentre mia madre veniva trasferita in un reparto dove i pazienti venivano legati e lasciati nei letti per intere settimane. Riuscii a vederla dopo dieci giorni e ormai mi resi conto che se non l’avessi tirata fuori da lì le sue condizioni, già gravemente danneggiate dalla malattia e del trattamento, si sarebbero aggravate. I farmaci che le somministravano le davano allucinazioni e anch’io in quei giorni vivevo questi viaggi in maniera distorta e angosciante.

Ad un certo punto anche il tram si ruppe, un veicolo aveva tranciato i cavi e l’intera linea rimase ferma per più di una settimana.

Mi sentii persa, non potevo nemmeno più fotografare che era l’unica cosa che mi faceva stare bene.

Dopo più di venti giorni riuscii, grazie ad un forte determinazione, a tirare fuori mia madre da quell’ospedale.

Questo racconto è la sintesi di quei giorni e rispecchia il mio stato d’animo e quello di una città costretta a fare i conti con un quotidiano difficile aggravato dalla pandemia di covid 19, che ha lo stesso numero del mio tram.

Roma, dicembre 2020

CAPITOLO X

Il silenzio lo sentirai gridare

© Massimiliano Donati

Il silenzio lo sentirai gridare

Un anno dopo. L'incredulità dei primi minuti, delle prime ore. L'improvviso precipitare, numeri a vorticare e sirene a inseguirsi nella notte. E poi quell'annuncio, già noto prima di essere pronunciato, ma ugualmente inatteso e sconcertante. Le mascherine, le distanze, il vuoto, la paura. Il silenzio.

Il silenzio ha un colore, un sapore, una sua inattesa fisicità. Il silenzio è un crescendo, ora dopo ora, giorno dopo giorno, mese dopo mese. Non bastano i canti dai terrazzi, gli arcobaleni disegnati, la primavera che arriva. È una pausa, come l'eco di una risata che fugge rapida e di nuovo silenzio. Nel gorgo siamo scesi muti. Solo il silenzio ha gridato come mai prima.

Si consiglia di ascoltare il video con le cuffie