Cembra Una storia di pietre e d'uva

"Cembra è la valle dove si struscia e si lambicca"

Dicono così, da queste parti: "Cembra è la valle dove si fa fatica", si tratti di risalire l'erta delle colline per lavorare i vigneti ("si struscia") o di distillare vinacce ("lambicca"). Perfino la grappa sembra uscire a stento e con molto sforzo dall'alambicco. Cembra è "la valle faticosa" persino oggi che puoi percorrerla comodamente in auto, e se vai in bicicletta o a piedi è giusto per sport o per turismo. Ma non è così dappertutto; nemmeno ai nostri giorni. Anche se hai il trattore e il rimorchio, in quei vigneti che si inerpicano sui fianchi scoscesi della valle ci devi andare a piedi, con la schiena piegata per lo sforzo e per la pendenza, che in certi punti supera il 35 per cento.

Scavata a U dal ghiacciaio prima, e incisa a V dal fiume Avisio poi, la val di Cembra è la porta delle Dolomiti: quelle di Fiemme e Fassa a nord, quelle (più lontane) del Brenta a sud. Le sue sponde sono così diverse da aver costretto la popolazione a convivere nei secoli con due mestieri che sono l'uno l'opposto dell'altro: quello dei cavatori, che per estrarre il loro prodotto dalla terra devono bucarla e scorticarla, e quello dei vignaioli, che invece la curano e la coltivano.

Se quella dello scalpellino è una vita pesante come i macigni che sposta e lavora, nemmeno quella del viticoltore può dirsi una passeggiata: quelli che oggi ci appaiono così graziosamente ben dispiegati sulle colline sono infatti vigneti piantati strappando terra al bosco e difendendone ogni centimetro dall'erosione dei venti e dal dilavamento dell'acqua con terrazzamenti protetti da muretti a secco edificati a mano, un sasso sopra l'altro, ché la meccanizzazione è roba troppo recente, mentre qui la viticoltura risale ad almeno 6 o 7 secoli prima di Cristo. La val di Cembra vanta ben 700 km, di questi muretti a secco. E come a mano si lavoravano i muretti, così a spalla si trasportavano le uve: quando era il momento del raccolto, uomini donne e ragazzi si caricavano di pesanti bigonce in legno piene di grappoli, e per settimane percorrevano i fianchi delle colline, su e giù, instancabili come formiche.

Di pietre e d'uva (e di agricoltura), ecco di cosa ha vissuto per secoli la val di Cembra. I panorami da cartolina che oggi riempiono gli occhi dei visitatori e strappano esclamazioni di meraviglia e ammirazione non sono gratis: hanno sempre richiesto ai suoi abitanti un altissimo tributo di sacrifici. Ancora oggi, molte operazioni nel vigneto (vendemmia compresa) possono essere fatte solo manualmente, perché la fragilità di questi territori rende la meccanizzazione quasi impossibile; le stesse rese non possono che essere basse, e i costi complessivi alla fine risultano ben più alti di quelli della pianura.

Eppure, a dispetto delle fatiche, delle rinunce, dei sacrifici che questo territorio pretende dai suoi ospiti umani, i produttori cembrani mostrano nei confronti dei loro vigneti e delle loro difficili colline un orgoglio geloso.

Non importa se ti devi arrampicare come uno stambecco su una stradina così impervia che se metti un piede in fallo rischi di ruzzolare fin giù sulla strada senza riuscire a fermarti; non importa se ti tocca fare su e giù con la neve, il ghiaccio, il freddo o il caldo appiccicoso dell'estate: fino a pochissimi anni fa il Bait de le Forche, a 860 m di altezza, lo raggiungevi solo a piedi, ed è grazie alla passione ostinata dei suoi viticoltori se oggi questo piccolo angolo di paradiso è diventato un punto di riferimento per la produzione enologica trentina. Qui infatti nasce il pluripremiato Muller Thurgau "Vigna le Forche" della Cantina di Cembra.

Dopo decenni passati a invidiare il loro benessere ai lavoratori dell' "oro rosso", come chiamavano il porfido (durante il boom di questa pietra, '70, il comune di Albiano si distingueva per essere il più ricco d'Italia), negli ultimi anni i viticoltori stanno acquisendo una nuova consapevolezza: quella di essere i produttori di un vino (tra gli altri) fortemente cembrano.

Il Müller Thurgau - nato tedesco, naturalizzato italiano - trova infatti in quest'area un ambiente d'elezione. Pur nelle diversità degli stili, se impari a conoscere il Müller Thurgau cembrano non lo confondi più. Perchè è un vino aperto, familiare, un vino da pasto, certo, a patto però di attribuire a questa parola tutta la quotidiana sacralità che gli spetta. E a regalargli quelle caratteristiche mai opulente ma sempre fresche ed eleganti tra il frutto giallo e i fiori bianchi, tra la spezia dolce e certi odori dell'orto (la salvia, a volte perfino il sedano), quella chiusura sempre salina, secca, pulita, non può essere solo l'ambiente d'alta collina, l'esposizione ideale e il microclima asciutto e ventilato. Il merito è anche del suolo: di quel porfido presente ovunque nei terreni.

Perchè qui, nella "valle faticosa", l'uva (e chi la coltiva) ha imparato a vivere perfino delle pietre.

Created By
Elisabetta Tosi
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