Secondo Piret e Bezieres, “ogni gesto è impronta di psichismo”. In questo caso possiamo ritrovarlo nella maniera di camminare o di correre.
Il piede è la parte terminale dell’arto inferiore. Si trova all’estremità distale della gamba con la quale si articola attraverso la caviglia. E’ una struttura anatomica fondamentale sulla quale agiscono tutti i carichi generati dal movimento corporeo. Porta il peso del corpo in stazione eretta e permette la marcia e la corsa.
Il piede adulto può essere diviso in tre zone:
- L’avampiede, nel quale troviamo le falangi e i metatarsi;
- Il mesopiede, con l’osso cuboide, i tre cuneiformi e lo scafoide (o navicolare);
- Il retropiede con astragalo (o talo) e il calcagno.
Quanto alle articolazioni si distinguono:
- Le articolazioni intertarsali (subtalare; talo-calcaneo-narvicolare, calcaneo-cuboidea)
- Tarso-metatarsali
- Intermetatarsali
- Metatarso-falangee,
- Interfalangee.
Cui si aggiunge la tibio-tarsica detta anche “collo del piede”.
L’articolazione più coinvolta nella biomeccanica del piede è quella subtalare, cioè il punto di connessione tra il calcagno e l’astragalo, la cui funzionalità è molto importante per un passo corretto e indolore.
Tutte le ossa del piede, quindi, presentano un rivestimento di cartilagine elastica e nello stesso tempo resistente e stabile, che consente lo scorrimento senza attrito delle ossa nelle articolazioni e serve da cuscinetto protettivo.
Alcune di esse meritano un’attenzione particolare.
L’astragalo si trova al centro del piede e svolge la funzione di perno distribuendo sugli archi plantari il peso del corpo, che viene poi scaricato su tre punti principali di appoggio, ovvero la tuberosità posteriore del calcagno e le teste del primo e quinto metatarso.
L’astragalo è orientato verso avanti e verso dentro (rispetto all’asse del corpo), in posizione di valgismo rispetto al calcagno con il quale si articola. Lo scafoide, i tre cuneiformi e i tre primi metatarsi gli sono solidali e subiscono questa tensione in valgismo che si amplifica fino alla base del primo dito.
Il calcagno, situato inferiormente, è orientato verso avanti e verso fuori, in posizione di varismo. Al calcagno si associano il cuboide, il quarto e quinto metatarso.
Nel calcagno, osso molto voluminoso, s’inserisce posteriormente il tendine di Achille che, come vedremo in seguito, origina dai muscoli del polpaccio e ha il compito di fornire una riserva di energia elastica nel salto, nella camminata e nella corsa.
La torsione globale favorisce quindi simultaneamente:
- Il valgismo dell’asse talo-navicolare-primo cuneiforme-primo metatarso e
- Il varismo dell’asse calcagno-cuboide-quinto metatarso.
Questa torsione segmentaria è generata dal muscolo abduttore dell’alluce e si organizza intorno al secondo dito, che mantiene l’asse.
Le torsioni del piede costituiscono, per il terapeuta, un vero schema di ristrutturazione del piede.
Le ossa del piede formano gli archi della volta plantare: due longitudinali, mediale e laterale, e un arco trasversale, che ne determinano la forma concava.
In particolare troviamo lo scafoide e il cuboide, articolati l’uno con l’altro e rispettivamente chiavi di volta degli archi longitudinali mediale e laterale.
L’osteopatia conferisce una grande importanza al loro posizionamento e considera queste due ossa come una delle chiavi di volta del corpo intero.
Legamenti, tendini e muscoli partecipano anch’essi alla costituzione degli archi, il che conferisce al piede una grande elasticità e la possibilità di adattarsi a tutte le superfici.
Secondo il punto di vista delle catene G.D.S., la coppia cuboide-scafoide è sotto il controllo delle catene relazionali: antero-laterale AL e postero-laterale PL.
L’AL, attraverso il tibiale posteriore, gioca un ruolo primordiale.
Il tibiale posteriore s’inserisce sulla faccia mediale del perone, dietro la membrana interossea, e sui due terzi superiori della faccia posteriore della tibia, posteriormente al tibiale anteriore, anch’esso muscolo della catena antero-laterale. Nel caso della catena AL, mentre il tibiale posteriore ha un’azione preponderante sul perone, che porta in rotazione esterna, il tibiale anteriore agisce sulla tibia che porta in rotazione interna.
Il muscolo tibiale posteriore raggiunge poi la faccia plantare del piede (figura a ds), ad eccezione dell’astragalo, del primo e quinto metatarso e delle dita. L’estremità inferiore è quindi costituita da nove tendini che s’inseriscono su nove ossa diverse e la sua contrazione favorisce il restringimento del retropiede. Ne dipendono quindi le posizioni rispettive della coppia cuboide-scafoide, il che lo definisce come il garante di un vero “arco trasversale del retropiede”.
Il lungo peroneo laterale, che fa parte della catena postero-laterale PL, passa sotto il cuboide e raggiunge inferiormente il tubercolo laterale del primo metatarso. Esso può approfittare del cuboide come di una puleggia, dove riflettersi e diventare sinergico al tibiale posteriore.
Questo è un bell’esempio di complementarietà tra catene antagoniste.
L’eccesso di attività nelle catene antero-laterali favorisce l’aumento dell’arco trasversale dell’avampiede, compresi i metatarsi, attraverso gli interossei plantari, il capo trasverso dell’adduttore del primo e i lombricali.
Il tibiale posteriore restringe tutte le ossa sulle quali s’inserisce portando il retropiede in cavismo mentre il tibiale anteriore, cercando di mantenere l’arco longitudinale interno, finisce per sublussare il primo cuneiforme rispetto allo scafoide o il primo metatarso rispetto al primo cuneiforme.
Il perone si blocca indietro e in basso rispetto alla tibia, il mortaio si restringe e l’astragalo è costretto a scivolare in avanti; perde così la possibilità d’indietreggiare nel mortaio nel momento della dorsiflessione del piede che, di fatto, è limitata. Segue la tibia in rotazione interna, scivolando in dentro rispetto al calcagno e installando una lesione in divergenza nell’articolazione subtalare.
In situazione di carico, il cavismo esagerato del piede AL tende a scomparire generando l’apparizione di quello che è definito come “falso piede piatto”, poiché l’azione della gravità aggiunta a quella del piccolo gluteo, che blocca l’anca in flessione-rotazione interna, obbliga il piede a basculare in valgismo.
È per questo fondamentale conservare sempre un’osservazione globale.
Nello schema di una PL eccessiva, i quattro interossei dorsali, che occupano lo spazio intermetatarsale, allargano il terzo e quarto dito mentre l’abduttore del quinto allarga l’ultimo. Sono quindi antagonisti agli interossei plantari di AL che invece restringono le ultime tre dita.
In questo schema, gli interossei plantari perdono la partita e l’AL non riesce più a controllare l’arco anteriore che si affossa.
I muscoli corto e terzo peroneo tirano sulla stiloide del quinto metatarso che basculano in pronazione, movimento che vedremo in seguito, rendendo la stiloide molto saliente lateralmente.
Una carenza di attività del tibiale posteriore priva il lungo peroneo laterale della puleggia, portando uno squilibrio di tensione a favore di quest’ultimo, il cuboide in rotazione interna e il cedimento dell’arco trasversale del retropiede.
Il capo laterale del gastrocnemio porta il calcagno in valgismo, determinando l’affossamento completo del piede e l’apparizione quindi del “vero piede piatto”.
Il principale muscolo della catena antero-mediana AM è il muscolo abduttore dell’alluce, che flette e abduce il primo dito. Quando lavora in eccesso, è implicato nell’installazione dell’alluce valgo e blocca il calcagno in varismo.
Dalla figura si può notare come AM, PL e AL siano molto legate a livello del primo metatarso. Dall’equilibrio di tensione tra queste tre catene dipende la funzione fondamentale del corretto ancoraggio al suolo dell’alluce: PL e AL mantengono il primo metatarso e permettono all’abduttore dell’alluce di radicarne la base al suolo.
Tutto l’arco trasversale dell’avampiede dipende quindi da quest’antagonismo-complementarietà tra catene: AM ancora la base del primo dito, l’abduttore del quinto di PL ancora la base del quinto, l’adduttore dell’alluce e i lombricali di AL controllano l’azione e cercano di mantenere l’arco. Questa particolare capacità è indispensabile sia nella statica sia nella fase del distacco delle dita durante il cammino e la corsa, che vedremo in seguito.
Per quanto riguarda l’arco trasversale del retropiede, abbiamo visto come il tibiale posteriore gioca un ruolo a livello della coppia cuboide-scafoide che impedisce alla PL di basculare il cuboide indentro.
Anche la catena postero-mediana PM, gioca un ruolo primordiale nel mantenimento della volta plantare attraverso i muscoli corto flessore delle dita e quadrato plantare, che ne sono i guardiani.
Il corto flessore delle dita si uniforma all’aponeurosi plantare, il che gli permette di mantenere gli archi longitudinali del piede, mentre il quadrato plantare è in contatto con il legamento calcaneo-cuboideo plantare. Vista la loro disposizione, questi due muscoli si oppongono all’affossamento del calcagno e dell’arco longitudinale laterale di cui il cuboide è la chiave di volta.
Nell’eccesso però, essi sono implicati nelle deformazioni come il piede cavo e le dita a martello poiché accorciano la distanza tra il calcagno e le dita, accentuando gli archi longitudinali; il calcagno si verticalizza e resta bloccato in varismo, i metatarsi si flettono. È il terreno della spina calcaneare.
A completarne l’azione intervengono il lungo flessore delle dita e il lungo flessore dell’alluce.
Dal punto di vista della statica essi permettono alle dita di poggiarsi il suolo, facilitano la stazione eretta e contribuiscono al mantenimento dell’arco longitudinale del piede.
Nella dinamica flettono le dita e sono flessori plantari dell’articolazione tibio-tarsica.
Il soleo, uno dei muscoli principali della catena PM, ricopre il tibiale posteriore e i muscoli appena descritti, situati nel piano profondo. Le fibre muscolari si dirigono in basso, per raggiungere un’aponeurosi terminale che si restringe progressivamente e si unisce all’aponeurosi del gastrocnemio mediale di AM e laterale di PL per formare il tendine di Achille, attraverso il quale si fissa sul calcagno.
Il soleo, il lungo flessore delle dita e il lungo flessore dell’alluce frenano la caduta in avanti dello scheletro della gamba e costituiscono il primo ancoraggio al suolo per la stazione eretta. Associati al tibiale posteriore di AL, contribuiscono a mantenere la coesione tra la tibia e il perone, rinforzando la stabilità dell’articolazione tibio-tarsica.
In carico, l’eccesso di PM, oltre ad determinare dita a martello e cavismo del piede, provoca un indietreggiamento posteriore della tibia (figura a ds), detto recurvato di tibia.
Nella corsa, come nel cammino, il muscolo soleo e il grande gluteo della PM contribuiscono maggiormente alla genesi del movimento ma con archi del piede molto accentuati e tendini d’Achille molto tesi, il peso del corpo è spostato tutto verso l’avampiede con il conseguente sovraccarico delle strutture; il piede attacca il suolo direttamente con la pianta.
Anche nella stazione eretta, l’appoggio plantare avviene principalmente a livello della parte anteriore del piede.
Il rapporto tra le catene postero-mediana PM e antero-posteriore AP è molto implicato nell’equilibrio in piedi: esse si oppongono rispettivamente a un disequilibrio verso avanti o verso dietro. La PM con i flessori delle dita e il muscolo soleo riportano il corpo verso dietro, gli estensori delle dita di AP verso avanti. A tale proposito è interessante il “test del filo d’erba”: la persona in posizione eretta è fatta oscillare intorno all’articolazione tibio-tarsica per valutarne eventuali freni verso avanti o verso dietro.
La catena postero-anteriore PA è indirettamente presente al piede attraverso i muscoli della catena antero-posteriore AP, tra cui il pedidio, definito da G.D.S come un garante della convessità degli archi longitudinali del piede.
Il piede assicura due funzioni:
- Ammortizzamento: grazie al suo scheletro, ammortizza il peso del corpo che è ripartito sulla pianta grazie ai due archi.
- Propulsione: utilizzando gli archi come trampolino, il piede spinge il corpo verso avanti durante la marcia o la corsa.
La singola sequenza di un arto è chiamato ciclo del passo (gait cycle).
Per comprendere la complessità degli eventi che intercorrono tra un passo e l’altro, bisogna considerare diversi aspetti. Nell'azione del cammino il nostro corpo deve svolgere alcune importanti funzioni: generare una forza propulsiva da parte dei muscoli, mantenere l'equilibrio e la stabilità del corpo nonostante le continue variazioni posturali, attenuare l'impatto del piede con il terreno, automatizzare il gesto in modo da renderlo poco dispendioso per l'organismo.
Per intendere meglio la biomeccanica del cammino è necessario analizzare il ciclo completo della locomozione. È definito ciclo del passo il periodo che intercorre tra due appoggi successivi dello stesso piede sul terreno. Si dividono due periodi:
- Fase di appoggio (stance phase) durante la quale il piede rimane a contatto con il suolo.
- Fase di oscillazione (swing phase) durante la quale l'arto è sollevato e portato in avanti per prepararsi all'appoggio successivo. Tale fase viene anche chiamata “di trasferimento”.
Ogni ciclo inizia e termina con entrambe i piedi a contatto con il terreno. Possiamo, quindi, dividere il ciclo del passo in tre distinti momenti:
- Fase iniziale di doppio appoggio o carico: quando i piedi sono al suolo e il carico del peso del corpo è equamente diviso.
- Supporto (carico) su una sola gamba: inizia quando il piede opposto è sollevato per oscillare. Durante questa fase l’intero peso del corpo è tenuto su una sola gamba.
- Fase terminale di doppio appoggio in cui la distribuzione del carico è particolarmente asimmetrica.
Analizziamo i diversi movimenti che avvengono fra l'appoggio di un tallone e il suo successivo appoggio a terra. Il ciclo del passo si divide in otto fasi funzionali.
1. La fase di appoggio si può dividere in quattro diverse fasi:
- Contatto del tallone (heel strike): è una fase molto breve in cui il tallone del piede proiettato in avanti si trova a contatto con il suolo.
- Pieno appoggio (mid stance): è la fase più lunga che inizia con lo stacco del piede controlaterale e termina quando il piede è completamente appoggiato al suolo (calcagno, metatarso e dita appoggiate al terreno).
- Distacco del tallone (heel off): questa fase termina quando l'arto controlaterale tocca il suolo e contemporaneamente si assiste al distacco del tallone del piede portante.
- Distacco delle dita (toe off): è una fase che termina con la spinta delle dita al terreno, dopo la quale il peso del corpo viene trasferito in avanti.
2. Anche la fase di oscillazione si può dividere in quattro diverse fasi.
- Fase di pre-oscillazione (fine della fase di appoggio).
- Fase iniziale: l'arto inferiore preso in esame si sposta in avanti per opera dei muscoli flessori dell'anca, dopo lo stacco delle dita del piede.
- Fase intermedia: l'arto inferiore si sposta da una posizione posteriore al corpo a un’anteriore, contemporaneamente la caviglia si flette.
- Fase finale: si continua e termina il movimento precedente, il ginocchio e la caviglia raggiungono la loro massima estensione preparando allo stesso tempo l'arto al contatto al suolo (appoggio del tallone e ripresa del ciclo del cammino).
La combinazione di queste otto fasi assolve tre compiti basilari che sono: attenuare l'impatto del tallone sul terreno; assicurare la stabilità degli arti; consentire la progressione coordinata a ritmo regolare dei passi.
Durante il passo anteriore:
- Il femore è fisiologicamente portato in rotazione esterna durante la flessione dell’anca.
- La tibia è relativamente in rotazione interna.
- Il piede attacca il suolo in varismo e tramite il tallone.
Nel passo posteriore:
- Il femore è portato in rotazione interna attraverso i legamenti anteriori della coxo-femorale (Bertin), allungati dall’estensione.
- La tibia compie una rotazione esterna.
- Il piede lascia il suolo in valgismo e attraverso l’alluce.
Questa dinamica “contraddittoria” del femore e della tibia è ammortizzata nell’articolazione del ginocchio con uno spostamento differente dei due condili sulle superfici articolari dei piatti tibiali, di forma diversa.
La PL, con il suo bisogno di aprirsi all’ambiente, nel passo anteriore, oltre ad un’abduzione e una rotazione esterna del femore, porta tutto lo scheletro della gamba in rotazione esterna e il piede verso fuori. Questo crea una difficoltà nel momento della presa di contatto con il suolo e nel passaggio dal passo anteriore a posteriore: in questa fase, il femore rimane in abduzione e rotazione esterna favorendo l’espulsione anteriore della testa femorale. Il piede attacca il suolo in abduzione (o pronazione) e disturba lo svolgimento delle fasi di attacco e di appoggio, rischiando la lesione dell’articolazione subtalare e perdendo l’ancoraggio dell’alluce per le fasi successive.
Nel caso di eccesso nelle catene antero-laterali AL, di attitudine più riservata, il passo ha inizio con un eccesso di rotazione interna dell’anca e il ginocchio orientato verso dentro. Il piede è portato in varismo esagerato e rotazione interna (o supinazione) fino alla fine del passo posteriore, tanto più che la flessione dorsale è limitata. Questo rende particolarmente instabile la tibio-tarsica soprattutto nel passaggio dal passo anteriore verso il posteriore e costituisce il terreno per le distorsioni recidive del legamento laterale esterno della tibio-tarsica.
Anche i soggetti PM hanno un movimento di pronazione insufficiente a causa della scarsa mobilità delle articolazioni nella parte coinvolta; la conseguente trasmissione del trauma da impatto alla parte inferiore della gamba incide, alla lunga, sull’efficienza del passo.
Dal punto di vista biomeccanico, la pronazione e la supinazione sono due movimenti opposti uno all’altro ma che sono fondamentali per la corretta funzionalità del piede.
Durante la fase di contatto del tallone, il piede è in supinazione, in altre parole l’insieme d’inversione, adduzione e flessione plantare. Subito dopo la prima fase di contatto con il terreno, il piede passa in pronazione, movimento di eversione, abduzione e dorsiflessione. E’ un movimento naturale che aiuta a ridurre la tensione articolare e avviene quando il piede ruota all’interno.
Per avere un’azione efficace e vantaggiosa, il movimento dalla pronazione alla supinazione, deve avvenire in modo equilibrato, progressivo e con il giusto tempo. In questo modo anche le altre articolazioni, come il ginocchio e l’anca, lavorano con la massima efficienza. Tutte le catene quindi, complementari-antagoniste, devono trovarsi in condizione di equilibrio.
La pronazione aiuta ad ammortizzare il contatto iniziale, senza di essa, lo shock dell’impatto col terreno sarebbe totalmente trasmesso alle gambe, rendendo la normale meccanica degli arti inferiori meno efficace. Oltre ad ammortizzare, aiuta anche il piede a riconoscere su quale tipo di piano ci si muove, stabilizzando e regolando il piede al terreno.
Durante la pronazione, i muscoli del polpaccio con il tendine di Achille si caricano come una molla per poi restituire l’energia durante la successiva fase di spinta in cui il piede funziona da leva rigida che trasmette la forza esplosiva al terreno prima di riprendere la supinazione.
Una pronazione eccessiva impedisce al piede di ruotare, il movimento è compensato attraverso i legamenti del ginocchio e le fasce muscolari, creando squilibri e danni alle articolazioni e causandone il dolore. Abbiamo visto come il ginocchio varo e il piede piatto della PL possono accentuare e persino causare questo problema.
Secondo la metodica G.D.S., le anomalie nelle diverse parti del corpo dipendono dalla dominanza di una o di un’altra catena in ogni segmento.
Il reclutamento dei muscoli seguenti avviene attraverso il riflesso miotatico di Sherrington, secondo cui ogni muscolo recluta il successivo con la trazione della sua aponeurosi, fino a costituire una vera catena di tensione mio-fasciale su tutto l’insieme del corpo. È per questo motivo che il lavoro non dovrà limitarsi a livello locale ma tener conto delle sue azioni-reazioni a distanza.
Per un’approfondita valutazione, ci si avvale dell’osservazione posturale globale e dell’utilizzo di test segmentari in posizione supina che determinano le “impronte rigide”; come i test muscolari o, ad esempio, il test di libertà del calcagno, del primo metatarso e il test di ascolto della coppia cuboide-scafoide.
Oltre a liberare i blocchi, per ottenere un corretto appoggio, sarà indispensabile ristabilire l’elasticità tra le strutture, ripristinare l’adattabilità degli archi del piede (importante la riprogrammazione dei lombricali), riorganizzare la torsione fisiologica per il corretto appoggio del calcagno, del primo e del quinto metatarso.
Ricostruire il corretto assetto e posizionamento dei piedi durante la corsa o la camminata è infine fondamentale per l'efficacia dell'azione, ma anche per prevenire eventuali traumi. Poiché una tecnica corretta permette di avere il massimo rendimento energetico, impedire gli infortuni ed evitare le recidive. Per questo motivo, oltre la correzione, secondo G.D.S., è fondamentale costruire una “presenza” al corpo e alla sua struttura, al fine di stimolare tutto quello che è sano e fisiologico.
La metodica propone delle soluzioni, tra le quali il re-apprendimento e la re-automatizzazione dei gesti giusti hanno un posto privilegiato. Quest’approccio costituisce un’intenzione altrettanto curativa che preventiva, guidata dall’analisi della forma e del movimento.