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De Monarchia commento e confronto con il XVI canto

UN' ULTERIORE INVETTIVA CONTRO IL PAPATO

Numerose sono le idee politiche che Dante auctor esprime attraverso la figura di Marco Lombardo, anima purgante di questa cornice a cui Virgilio e Dante si affidano per il raggiungimento della cornice successiva. Questo personaggio fu realmente esistito, ma della sua vita si conosce ben poco. Infatti, sappiamo solo che fu un cortigiano del duecento probabilmente di origini lombarde. Forse Dante proprio perché rivide in Marco la sua condizione di esule errante, lo scelse come portavoce delle sue teorie politiche. Queste, come per altre già presenti in altri canti dell'opera, condannano fortemente l'azione del papato. Tale concezione negativa dell'istituzione ecclesiastica non può che derivare dall'esperienza del poeta, che per colpa dell'ingerenza di papa Bonifacio VIII nelle questioni fiorentine venne mandato in esilio nel 1301.

IL "DE MONARCHIA"

Le idee politiche espresse nel canto sono molto simili a quelle presenti in un 'opera di Dante, ovvero il "De Monarchia". Si tratta di un saggio politico scritto in latino in quanto rivolto a un pubblico di intellettuali e suddiviso in tre trattati di cui il primo ha lo scopo di dimostrare la necessità dell'autorità imperiale. Venne pubblicato presumibilmente nel 1313, anno di discesa in Italia dell' imperatore Arrigo VII, autorità nel quale Dante sperava per poter far ritorno a Firenze.

LA TEORIA DEI DUE SOLI

Nel primo trattato del "De Monarchia", il poeta si serve della concezione cristiana di Dio per dimostrare la necessità di uno Stato di tipo monarchico. Infatti, Dio, creatore dell'universo, essendo unico, perfetto e buono, desidera creare la realtà quanto più possibile somigliante a se. Perciò, non ammette discussioni il fatto che noi, come genere umano, costituiamo un'entità sola. Inoltre, come il Cielo è regolato da un unico motore immobile, cioè Dio, anche sulla Terra deve esistere una sola autorità, ovvero il monarca. Dante non omette in questo modo l'autorità ecclesiastica, ma attribuisce al potere temporale e a quello spirituale una comune autonomia e indipendenza, secondo quella che prende il nome di teoria dei due soli.

  • IL RUOLO DELL'IMPERATORE

All'imperatore è attribuito la gestione del potere temporale che gli è concesso esclusivamente da Dio. Oltretutto, per svolgere al meglio la sua funzione è necessario si preoccupi di garantire giustizia, nonché di far raggiungere a ogni suddito uno dei due fini dell'uomo, ovvero la felicità terrena. Quest'ultima, rappresentata dall'immagine del paradiso terrestre, è perseguibile se si seguono la ragione, gli insegnamenti filosofici e le virtù morali (Sapienza, Scienza, Fortezza, Giustizia, Temperanza).

  • IL RUOLO DEL PONTEFICE

Il papa, invece, dovrebbe tenersi lontano dal potere temporale e dai beni materiali che portano alla corruzione delle istituzione ecclesiastiche, agendo esclusivamente nel suo ambito. Come l'imperatore anche il papa assume il ruolo di guida dell'uomo ma in questo caso per il raggiungimento della felicità eterna, coincidente con la visione di Dio e rappresentata perciò dal paradiso celeste. Solamente esercitando le virtù teologiche (Fede, Carità, Speranza) diventa possibile godere della beatitudine della vita eterna.

Per la realizzazione di una società perfettamente ordinata, il potere temporale e quello spirituale devono agire autonomamente, ma al tempo stesso collaborare per un fine comune: la felicità dell'uomo. Nonostante ciò, poiché dalla nostra condotta terrena dipende la nostra possibile di accedere al paradiso celeste, l'imperatore dovrebbe portare rispetto al pontefice, così come un figlio lo deve al padre, e lasciarsi guidare in parte anche dalla fede.

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