2. Piccoli frammenti
La mattina, appena si rendeva conto di poter aprire gli occhi e stendere le gambe nel letto, provava una vertigine. Era di nuovo vivo.
Non si abituava ancora a questa piccola verità essenziale; non la dava più per scontata. Assaggiava le lenzuola nel contatto delle gambe, che strofinava pigramente l’una contro l’altra, allungava il braccio, indolenzito, che era rimasto a sostenere la testa durante il sonno. Districava il corpo dai capelli (a volte lo doveva disincastrare da un corpo diverso dal suo, ma quella mattina, no); poteva sentire il suo stesso calore lasciato nell’angolo del cuscino. La curva della schiena ancora appoggiata a una porzione di letto tiepida, ma vuota.
Lan Zhan si era già alzato come sempre. Beh, diciamo come “quasi sempre”: a volte rimanevano avvinghiati così stretti che era difficile anche decidere di muovere un dito. Benedette quelle mattine.
Era una cosa nuova per lui: far caso ad ogni minima cosa inessenziale della sua giornata. Era così da poco tempo. Era di nuovo vivo.
Stiracchiando ulteriormente le sue gambe emise un piccolo suono da gatto che poi sfociò in uno sbadiglio. Lo sbadiglio diventò un ululato poco convinto e infine diventò un “LaaaannnZhhaaaaaaaaaannnn” lanciato oltre la stanza. Dove era finito?
Oltre la cortina delle tende era ancora buio. La finestra doveva essere socchiusa perché – ora che era abbastanza sveglio – vedeva i teli leggeri muoversi, gonfiarsi per qualche secondo per poi tornare immobili: creavano uno spostamento che li faceva danzare insieme al fumo dell’incenso. Quel profumo.
Era anche il profumo dell’uomo che amava.
Respirò forte, quasi a voler sopperire alla momentanea assenza fisica dell’altro.
Era sveglio da un minuto e lo stava già cercando, con un piccolo moto d’ansia, con un battito irregolare del cuore. Si era ripromesso che non ne avrebbe mai più tollerata l’assenza. Mai più. Perché, finalmente, era di nuovo vivo.
Non vedeva bene: aveva i capelli sulla faccia e una qualche sostanza vischiosa, molte ore prima, aveva causato un piccolo disastro facendoli incollare alla sua guancia e giù nel collo. Sorrise a sé stesso con un po’ di malizia compiaciuta: ottimo lavoro Wei Ying! Rise proprio. Ma i suoi sensi soddisfatti non erano ancora riusciti a rispondere alla cosa che più premeva: dove era finito Lan Zhan? Decise che non era il caso di chiamarlo di nuovo ad alta voce; dopotutto era ancora buio e le stanze private di Zio non erano così distanti.
Facevano già azione di disturbo troppo spesso, e la mattina i loro sguardi lo evitavano perché di solito non erano espressioni di comprensione o di simpatia. Ma in tutta onestà non si era mai permesso di dire nulla; forse risultavano abbastanza discreti (no, non ci credeva nemmeno lui), o forse lo Zio preferiva fare finta di niente. O magari, il cielo a volte assiste i coraggiosi, era diventato un po’ sordo e loro avrebbero saputo benissimo sfruttare questa opportunità. Comunque.
Per quella mattina era già stufo di fare considerazioni maliziose, tutto da solo.
Si alzò ciondolando il corpo, ancora caldo di lenzuola, con i capelli orrendamente scompigliati, il loro profumo addosso. Allungò una mano verso i vestiti; la mattina era difficile capire di chi fosse e cosa. Si era abituato a infilare la prima biancheria che trovava: se non era la sua, meglio. A volte riusciva a salvarla prima che finisse verso la strada del bucato: questo suscitava il finto sdegno di Lan Zhan “Deve essere lavata!”, ma la verità è che anche lui, e di proposito, a volte scambiava la casacca del pigiama e si teneva addosso tutto il giorno quel fievole profumo dolce, di loto. Il suo.
Quella mattina gli andò male. Lan Zhan era già alzato e doveva essere da qualche parte, vestito di tutto punto. Pazienza. Sbucando in veranda l’aria umida e fredda della mattina gli avvolse il viso, entrò nei polmoni pungendo un po’: era meraviglioso.
Era di nuovo vivo.
Stava albeggiando e una cosa calda le aveva allagato il cuore. Lì sotto alla veranda quella schiena che conosceva così bene era seduta, composta, dritta. Lan Zhan era subito a ridosso dei gradini, sembrava assorbire la luce e restituirla al mondo.
Una visione che gli mandava all’aria i battiti. Dio com’era bello.
La curva perfetta della testa, le spalle, le gambe incrociate: lo aveva disegnato proprio così molto tempo prima e anche in tempi più recenti (ma in quest’ultima versione non aveva vestiti addosso ed era nettamente preferibile al ritratto giovanile!). A quella vista, non ci pensò neanche un secondo: sveglio da tre minuti sentiva la sua mancanza come se fosse stato lontano già tre giorni. Gli si buttò letteralmente addosso, inginocchiandosi. Sbatté lievemente contro la sua schiena, lo abbracciò, restando alle spalle. “Mmmm (ancora sonnacchioso e capriccioso)… dove eri finito? Ti ho chiamato! Non sentivi?” si/ lamentò tentando di fare un po’ la vittima.
“Ero qui”. Certo.
“Potevi rispondermi, allora!”
“Mh.” Certo.
“Perché sei qui e non nel nostro letto? E soprattutto… non è l’ora della colazione? Che si mangia?” Niente. Era sempre stato così: non aveva necessità di momenti in cui riprendersi, svegliarsi adeguatamente, tornare cosciente al mondo; no. Iniziava a parlare senza scalfitture, senza aver l’aria impastata. Con la sua presenza, il mondo, aveva scoperto il moto perpetuo.
Dall’altra parte non arrivava nessuna risposta. Quant’era vera quella cosa dei poli opposti che si attraggono! Si lamentò nelle orecchie di Lan Zhan ancora qualche secondo, premendo per bene il petto sull’altrui schiena, infilando il naso nell’altrui collo, ingarbugliando con le mani gli altrui capelli (mica potevano essere in condizioni pietose solo i suoi: equilibrio! ci vuole equilibrio nei rapporti!); quasi cadendo, per essersi sporto troppo in avanti, addosso ad un pazientissimo Lan Zhan. Ed era sveglio da una manciata di minuti. Aveva fatta confusione già sufficiente a riempire due ore.
Dall’altra parte non arrivava nessuna risposta. “LaaaanZhaaaaaan?”
“Mh?”
Questa volta, insoddisfatto, lasciò andare tutto il suo peso sulla schiena dello sventurato Lan Zhan ciondolando le braccia, come fosse un corpo svenuto. La testa ancora ben incastrata sotto al collo e sulla spalla altrui. La spinta del suo corpo fece perdere l’equilibrio anche a Lan Zhan, che oscillò in avanti, verso il vuoto dei gradini.
Finire sdraiati sull’erba umida del prato non era un’opzione divertente. Lan Zhan riuscì a mantenersi saldo, nonostante tutto. Voltando lievemente la testa riuscì a scorgere lo sguardo di Wei Ying, la sua visione periferica aveva qualcosa di straordinario: riuscì a scorgere le sfumature nonostante l’alba fosse ancora una striscia sottile in lontananza e gli alberi del giardino si stessero tingendo di un grigio di nebbia, indefiniti i contorni. Si chiese perché Wei Ying fosse così noioso quella mattina; gli sembrava spesso di avere a che fare con un bambino devoto ai capricci.
Amava in maniera incomprensibile questo dettaglio; non lo avrebbe mai ammesso, mai, neppure in altre tre vite. Ma invece che inquietarsi per quell’abbraccio impulsivo e scomposto che disturbava la sua solitudine di inizio giornata, si sentì prendere da una piccola vertigine; una cosa indefinibile che partiva dal centro dello stomaco. Avvertì il calore e la presenza di quell’abbraccio ingombrante, delle ginocchia che si erano puntellate sulla sua schiena. Lasciò andare qualsiasi barlume di razionalità, permettendo all’abbraccio di sopraffarlo. Dopotutto era un bel modo di iniziare la giornata. Lo aveva atteso così tanto. Lo aveva pregato così a lungo./ù
Aveva prosciugato i suoi occhi.
Wei Ying poteva fare quello che voleva: andava tutto bene. Purché fosse il suo corpo ad incollarsi a lui. In che modo, con quale irruenza, in quali momenti meno adatti (erano sempre i momenti meno adatti, aveva una sorta di precisione incontrollabile: Wei WuXian dopotutto era sempre Wei WuXian), non gli importava affatto.
Era l’alba. Erano vivi. Era incomparabilmente felice. Quasi sino ad aver paura.
“Cosa succede Lan Zhan? Allora? La colazione. Qui c’è umido, devo scaldarti per forza. Hai fame? IO HO FAME! Cosa stai facendo? Certo che l’aria è ancora freddina, qui… TI prenderai un accidente. E.. E… ETCIUU’” nel collo.
Il rimbalzo dello starnuto finì per diventare una testata sulla spalla di Lan Zhan (che a questo punto aveva voglia di legarlo di nuovo), ed erano passati solo sette minuti.
“Wei Ying” profondo e solenne il tono.
Dio, aveva bellissima anche la voce.
“Ah ma allora ci sei! Credevo che dormissi ancora, qui seduto sui gradini. Mi consola! Dimmi, che facciamo?”
“Non mi starnutire sul collo”
“...”
Era più simpatico del solito, la mattina. Wei Ying lo sapeva bene: c’era forse da offendersi? Se già Lan Zhan parlava poco, dall’alba all’ora del pranzo era praticamente impossibile conversare. Anche se, ad onor del vero, temeva che potesse dipendere dal fatto che lui, al contrario, parlava senza sosta privando chiunque altro gli orbitasse intorno di trovare uno spiraglio. Ma non era il caso di perdersi in queste considerazioni. Era un loro equilibrio, andava bene così.
Il chiarore del giorno si stava schiudendo sul giardino. Wei Ying fu attratto dalle ombre morbide che si stavano creando su un viso perfetto. Sulla linea del naso dritta, elegante. Dio com’era bello Lan Zhan. Per osservare meglio quello spettacolo si tolse dalla schiena dell’amato e lo affiancò, sedendosi un po’ meno compostamente dell’altro. Ciondolò una gamba oltre i gradini. Ciondolò verso Lan Zhan, appoggiando la testa alla sua spalla. Ciondolò per il gusto di farlo.
“Laaan Zhaaaaann?” Ma quant’era noioso quella mattina.
“Mh?”
“Ma tu, quando mi guardi. Chi vedi? Intendo dire...”
Ma non sapeva come scegliere le parole. Se lo era chiesto tante volte, ma senza il coraggio di indagare. Era la mattina perfetta, quella. La luce che si stava alzando allagando i contorni di ambra, sui cespugli, sulla magnolia, sul viso di giada del suo prezioso uomo.
“Ma tu, chi vedi?”
Silenzio.
Cinguettii piccoli e schioccanti, in quella luce. Una piccola bordata di vento fece muovere i loro capelli. Si poteva fermare il tempo? Se sì, quella sarebbe stata un’immagine perfetta. Vicini, appoggiati, occhi dentro ad altri occhi.
Silenzio.
“Cosa significa “chi vedo”?” Con un po’ di ritardo, Lan Zhan si era deciso nel dimostrare di esser sveglio e reattivo.
“Quando mi guardi, intendo. Dai, sai cosa voglio dire. Quando… quando sei con me. Quando mi dici che mi ami. Quando mi tocchi. Tu, chi vedi?”
Lan Zhan si voltò impercettibilmente, osservandolo con un misto di dolcezza, di dolore, con un sorriso appena accennato.
“All’inizio vedevo Mo XuanYu. Ma non avevo dubbi, sapevo che ti conteneva. Aveva i tuoi modi di guardare, di muovere il corpo, di gesticolare. Eri tu”.
Di fronte a quelle parole Wei Ying sentì una punta di dolore, non riuscì a dire niente.
E, incredibilmente, Lan Zhan riprese a parlare: “Poi è accaduta una cosa che non so spiegare. I gesti, le tue parole, tutto era talmente “te” che a poco a poco Mo XuanYu è svanito. Il suo volto era sempre meno il suo. Il tuo modo di guardare e soprattutto di guardarmi era sempre più il tuo. Adesso non saprei dirti che faccia avesse Mo XuanYu. Non la ricordo più. Io vedo te. Sei ancora quello di prima, hai di nuovo gli occhi che ridono e diventano una fessura, quando parli. Pieghi la testa su un lato quando qualcuno di prende in contropiede, sorridi nel modo che conosco da tanti anni. Tu sei tu. Sei di nuovo tu, come prima. E comunque ti avrei riconosciuto fra milioni, anche tu fossi stato una roccia o un coniglio”.
Wei Ying era incapace di parlare, un piccolo nodo puntuto stava stringendo il suo pomo d’Adamo. Qualcosa di impossibile da inghiottire. Sentì caldo agli angoli degli occhi. La voglia di buttare la sua faccia nel petto di Lan Zhan. La voglia di gridare tutto quell’amore che stava lì, reale, tridimensionale a levargli il respiro. E non sembrava l’unico con quello stato d’animo. Un altro paio di occhi, chiari come una pietra d’occhio di tigre, stavano puntando sui suoi passando il cuore da parte a parte.
Un cuore allagato e limpido come lo stagno delle carpe. Sorrise all’immagine. Ed erano svegli solo da una decina di minuti. L’alba li colorava di arancio. Abbracciati sui gradini.