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Don Giovanni Barbareschi, un ribelle per amore

Quella che raccontiamo oggi è la storia di “uno scout diventato prete” come egli stesso amava definirsi, nato a Milano l’11 febbraio 1922. La storia di un presbitero, partigiano e antifascista italiano che ha rischiato la sua vita per la nostra libertà durante gli anni durissimi della resistenza: di un uomo celebrato come un eroe “Giusto fra le nazioni” e medaglia d’argento della resistenza.

Ha pronunciato la sua promessa scout nell’ASCI nelle mani di “Kelly”, Giulio Uccellini, il 27 dicembre 1943. E’ stato una delle ultime Aquile Randagie a pronunciare la promessa. Insieme a don Andrea Ghetti – “Baden” ha fondato l’OSCAR che aveva come scopo salvare ebrei, persone ricercate, renitenti alla leva, militari alleati in fuga. Con gli amici dell’associazionismo cattolico fa parte della redazione del giornale clandestino “il Ribelle” cercando di diffondere idee di libertà, democrazia, preparando il futuro dell’Italia.

Nel dopoguerra è accanto a don Gnocchi nell’assistenza ai mutilatini. Con il cardinale Carlo Maria Martini è stato artefice della “Cattedra dei non credenti” presso l’Università degli studi di Milano per un incontro aperto, conciliatorio tra le diverse religioni e credo filosofici.

Nella Chiesa di S. Ambrogio, il 29 novembre 1980 durante la Messa celebrata dal Vescovo Martini davanti alla folla di scouts e di amici che gremiva la basilica milanese per salutare l’amico don Andrea Ghetti, don Giovanni Barbareschi pronunciava queste parole: ”Tutto ciò che nella storia viene fatto per amore, rimane per sempre, ed è conficcato in modo permanente nel tessuto della realtà. Nella misura in cui una nostra azione, grande o banale non importa, scaturisce da quell’atteggiamento dell’essere che si chiama “amore” essa entra a far parte del mondo futuro, essa è eterna. Nel tuo lavoro, nel tuo studio, nelle tue relazioni interpersonali, nella tua famiglia, rimarrà in eterno solo ciò che tu fai per amore”.

In occasione della Giornata dei Giusti del 2014 ha rivolto un appello accorato ai giovani presenti al Monte Stella: “Giovani, innamoratevi della libertà, solo così si diventa uomini. Vi auguro di essere capaci di reagire alla schiavitù di oggi: ieri ci facevano paura usando i mitra, oggi cercano di condizionarci con la mano di velluto, ma ci strozzano lo stesso. Siate liberi, critici e consapevoli”

Un “ribelle per amore”, innamorato della libertà.

Dallo scioglimento dei Riparti Scout alla nascita dei gruppi clandestini delle Aquile Randagie e all’OSCAR

Con la legge n.5 del 9 gennaio 1927 venne decretato lo scioglimento dei Riparti Scout nei centri inferiori a 20.000 abitanti e si obbligava a imporre, ai restanti le iniziali ONB (Opera Nazionale Balilla) sulle proprie insegne. Nello stesso anno, il 24 gennaio Pio XI sciolse i Riparti ASCI (Associazione Scoutistica Cattolica italiana) L’anno dopo, esattamente il 9 aprile 1928 il Consiglio dei Ministri con il decreto n. 696 firmato dal capo del Governo Mussolini e dal Re, dichiarò soppresso lo Scautismo. Fin da quel momento in poi, alcuni capi furono decisi a mantenere fede alla “Promessa” e alla “Legge” come a Milano Giulio Cesare Uccellini detto “Kelly” e Andrea Ghetti detto Baden e fondarono il movimento delle “Aquile Randagie”.

Nacque così il primo gruppo cattolico antifascista che inizia il periodo della cosiddetta “Giungla silente”

Nel 1943 le Aquile fondarono e parteciparono alle attività dell’OSCAR (Opera Scautistica Cattolica Aiuto Ricercati) per favorire l’espatrio di ricercati dalle forze tedesche, prigionieri di guerra, renitenti alla leva ed ebrei oltre che per sottrarre fascisti e nazisti alla vendetta dei vincitori, dopo la fine della guerra. La loro attività si riassume in 2.166 espatri clandestini, 500 preallarmi, 3.000 documenti di identità falsi.

Video dell'incontro del 21 febbraio 2009 tra le Aquile Randagie e gli scout bolognesi ed italiani a Bologna

Sono don Giovanni Barbareschi, un prete della diocesi di Milano. Ho 87 anni. Sono un’Aquila Randagia. Non mi sento ben qualificato quando mi chiedono se sono un prete scout. Preferisco rispondere che sono uno scout diventato prete. Credo di essere stato l’ultima Aquila Randagia che ha fatto la sua promessa il 27 dicembre 1943 nelle mani del suo capo Giulio Uccellini. La mia famiglia era povera ed eravamo quattro figli. Mio padre non è mai stato iscritto al Partito Fascista e per questo ha avuto notevoli difficoltà nel suo lavoro. Io, balilla di 12-14 anni, ero tutto orgoglioso quando alla domenica tornavo dall’adunata e raccontavo a mio padre che ci avevano portato a Messa, inquadrati, e che anche durante la liturgia avevamo tenuto in testa il nostro fez e alla consacrazione eravamo scattati sull’attenti al suono della tromba. Mio padre commentava: “Quella Messa non vale niente, perché non eravate liberi di partecipare“. Tormentata la mia adolescenza e la mia prima giovinezza: è stata tutta un’avventura alla ricerca della verità e della libertà. Riflettendo mi sono accorto che non cercavo la verità, volevo conquistarla, possederla, farla mia, volevo che fosse la conclusione di un mio ragionamento. Cercavo l’evidenza... e invece la verità è e sarà sempre mistero. L’evidenza rimarrà sempre alla superficie della verità. Più tardi mi sono incontrato con quella frase di San Paolo nella lettera ai Galati: “In libertate vocati estis “, ogni uomo è chiamato a realizzare la sua libertà. Mi sono innamorato della libertà: è stata la parola di Dio a me, il volto che Dio mi ha rivelato. Mi sono convinto che la distinzione tra uomini atei e uomini credenti è una distinzione culturale. La terminologia più universale e umana è quella che troviamo nella Bibbia: uomo schiavo o uomo libero. Ho raggiunto la certezza che il primo atto di fede che l’essere umano deve compiere non è in Dio, ma è nella sua libertà, nella sua capacità di diventare una persona libera. Ho detto atto di fede, perché la libertà della persona umana non si può dimostrare. Ho incontrato innumerevoli condizionamenti: quelli di un patrimonio genetico, di un ambiente, di una cultura, di un’educazione ricevuta, di una religione imposta. Tutto questo è vero: la mia libertà è una piccola isola in un oceano di condizionamenti, ma io - e con me ogni uomo - posso nascere come persona libera solo in quella piccola isola. Quando mi sono venuto a trovare in una situazione storica in cui la libertà veniva negata, le persone venivano imprigionate e perseguitate per la loro appartenenza a una razza o per le loro idee, è stato logico per me mettermi dalla parte di coloro che difendevano la libertà, la libertà mia, la libertà di ogni uomo. Per descrivere quel periodo storico il Card. Schuster, in un documento del 6 luglio 1944, documento che non ottenne il permesso di essere pubblicato, scriveva così: “... una lotta fratricida, con vittime innocenti, una lotta fatta di odio, di livore umano, una vera caccia all’uomo. con metodi così crudeli che farebbero disonore alle belve della foresta “. Continua ancora il Cardinale: “... ogni ufficiale che presiede a una squadra di una cinquantina di uomini si crede autorizzato ad assaltare villaggi, a incendiare cascinali, a tradurre in prigione, a torturare, a fucilare…".

A questa situazione, con alcuni amici come don Andrea Ghetti, don Enrico Bigatti, Giulio Uccellini (capo delle Aquile Randagie) ci siamo ribellati ed è nato l’OSCAR (Opera Scoutistica Cattolica Aiuto Ricercati). In un secondo tempo alla parola “Scoutistica” abbiamo ritenuto opportuno, perché meno compromettente, sostituire la parola “Soccorso”. In una prima fase ci siamo preoccupati di salvare militari italiani che non volevano aderire alla Repubblica di Salò, e militari inglesi e americani fuggiti dai campi di concentramento. In una seconda fase ci siamo preoccupati di salvare ebrei ricercati solo perché ebrei. Salvare comprendeva il procurare loro documenti falsi e aiutare la loro fuga in territorio svizzero. Quante le persone che abbiamo aiutato? Quanti gli espatri clandestini che abbiamo favorito e portato a termine? Certamente non tenevamo registrazioni, era troppo pericoloso. Chi ha tentato di quantificare ha scritto che il nostro gruppo ha prodotto circa 3.000 documenti falsi e ha portato a termine circa 2.000 espatri. Questo era il nostro modo di osservare la nostra legge: “aiutare il prossimo in ogni circostanza“. Tra i tanti vorrei segnalare un caso solo, quello di Giulio Uccelllini che ha rischiato la sua vita per strappare dall’ospedale di Varese un bambino ebreo destinato alla deportazione. Ci siamo anche preoccupati di diffondere alcune idee ed è per questo che ho personalmente fatto parte di quella che potrei chiamare la redazione del giornale clandestino “Il Ribelle”. Tra il 1944 e io 1945 furono 26 i numeri del nostro giornale. La tiratura per ogni numero era di 15.000 copie. Al giornale furono affiancati i “Quaderni del Ribelle” (11 numeri e ogni numero 10.000 copie). Nel giornale e nei quaderni affermavamo i principi cardine della società che sognavamo di ricostruire. Per stampare e diffondere quel misero foglio che pretendeva di essere un giornale, più di uno di noi è finito in carcere, in concentramento, più di uno non è tornato... e lo sapevamo di giocare con la morte. La redazione era composta di 6 persone: 4 sono morte in campo di concentramento o fucilate. L’OSCAR si è molto adoperato nella distribuzione del nostro giornale clandestino. Abbiamo scritto sul nostro giornale: “Non vi sono liberatori, ma solo uomini che si liberano“. Nella prima pagina avevamo stampato la frase di Giuseppe Mazzini: “Più della servitù temo la libertà recata in dono“. Abbiamo anche scritto: “L’uomo nuovo non lo fanno le istituzioni, né le leggi, ma un lavoro interiore, uno sforzo costante su sé stesso che non può essere sostituito da surrogati di nessun genere: Noi influiremo sul mondo più per quello che siamo che per quello che diciamo o facciamo“. Se voi mi chiedete se la nuova società che allora sognavamo è quella di oggi, rispondo chiaramente di no.

Sembra oggi che fare politica sia prevalentemente nell’interesse personale, dei propri amici, e non nell’interesse del bene comune. Oggi è assordante il silenzio dei quadri dirigenti del mondo cattolico. Al modo attuale di intendere e di fare politica dobbiamo avere il coraggio di ribellarci. Mi sembra fondamentale una domanda: ci siamo liberati o piuttosto abbiamo abbattuto un faraone e abbiamo assistito alla comparsa di altri faraoni? Perché il fascismo non è solo una dottrina o un partito, una camicia nera o un saluto romano. Il fascismo è un modo di vivere nel quale ci si arrende e ci si piega per amore di un quieto vivere o di una carriera. Il fascismo è una mentalità nella quale la verità non è amata e servita perché verità, ma è falsata. ridotta, tradita, resa strumento per i propri fini personali o del proprio gruppo o del proprio partito. È una mentalità nella quale teniamo più all’apparenza che all’essere, amiamo ripetere frasi imparate a memoria, non personalmente assimilate, e gridarle tutti insieme, quasi volendo sostituire l’appoggio del mancato giudizio critico con l’emotività di un’adesione psicologica, fanatica. A fare di noi persone libere non saranno mai gli altri, non le strutture e neppure le ideologie. Continuando il discorso delle Beatitudini non avrei paura ad affermare: “Beato colui che sa resistere”, anche se il resistere oggi è più difficile perché non siamo di fronte a mitra puntati, ma siamo coinvolti in un clima di subdola persuasione, di fascinosa imposizione mediatica, che è come una mano rivestita di un guanto di velluto, ma che ugualmente tende a toglierti la libertà. Questo invito a una resistenza è rivolto a voi giovani, è rivolto a ogni uomo che crede possibile e vuole diventare un uomo libero, senza trovare nelle difficili situazioni esterne il rifugio o la scusa alla propria pigrizia. Termino questa mia testimonianza con le parole della nostra preghiera, la preghiera di noi, ribelli per amore: Dio che sei verità e libertà, facci liberi e intensi: alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà. Quanto più s’addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti. Ascolta la preghiera di noi ribelli per amore.

Sotto il palo dell'alzabandiera, con camicia chiara, Giulio Cesare Uccellini, detto Kelly

Don Giovanni Barbareschi ha lasciato scritto un testo da leggere durante le sue esequie, ve lo offriamo alla lettura qui.

"Torno alla casa del Padre felice ed entusiasta di questa meravigliosa avventura che è stata la mia vita."

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