Gli stessi autori che accolgono l'esigenza neoclassica di composizione degli squilibri della vita in una superiore armonia, Schiller, Goethe e Foscolo, sono anche tra gli esponenti principali dell'anima "preromantica" del Settecento. Il principale movimento artistico letterario preromantico, noto come Sturm und Drang (Tempesta e Impeto), è attivo in Germania tra il 1770 e il 1785; anche se il moviemento del romanticismo vero e proprio tarderà ancora alcuni decenni in Italia, le opere di poeti e scrittori tedeschi sono subito lette e imitate dai giovani artisti italiani,
Gli autori di questo movimento esprimono l'inquietudine giovanile e il desiderio di libertà, di opposizione a una società borghese meschina, che non da' il giusto riconoscimento al desiderio di giustizia, di libertà, all'ansia di cambiare il mondo. I giovani autori elaborano così l'immagine del ribelle, identificato con il Titano Prometeo in lotta contro Zeus e da questi punito (titanismo è il nome che viene dato all'atteggiamento di ribellione che può essere contro Dio, la legge, lo Stato tirannico). Talvolta la ribellione è espressa dalla figura di Lucifero, eroico e maestoso nella sua rivolta, come era stato presentato da Milton nel "Paradiso perduto".
Tra gli esempi di opere che presentano la figura del "ribelle", un giovane insofferente della tirannide e autorità borghese, che diventa un generoso brigante, con l'obiettivo di punire le ingiustizie e combattere i soprusi, ma comprende infine che i suoi delitti rinnovano le atrocità che vorrebbe combattere e si arrende alla giustizia dopo aver visto morire di dolore il padre e aver ucciso la donna amata, è Karl, il giovane studente protagonista de "I masnadieri" di F. Schiller, dramma del 1781.
Tra le opere più significative di questa tensione verso un assoluto ideale che viene poi reso impossibile dalla società e dalle sue rigide convenzioni, è il romanzo di E. Goethe, "I dolori del giovane Werther" del 1774. In questo caso l'amore assoluto di Werther per Charlotte, già promessa sposa ad un altro uomo, Albert, si scontra con l'ostacolo del matrimonio di lei: il dolore del giovane non trova soluzione in nessun modo, solo nel suicidio, emblema della sconfitta di sogni e aspirazioni che non trovano compromesso nella realtà quotidiana.
Il romanzo epistolare di Foscolo, "Le ultime lettere di Jacopo Ortis", viene composto tra il 1798 e il 1802, a imitazione del romanzo di Goethe.
La prima differenza consiste nel grande peso che per Jacopo ha non tanto l'amore per Teresa ma la sua aspirazione a una patria che vede invece tradita e "venduta" dalla cessione di Venezia all'Austria, col "Trattato di Campoformio". La frase d'esordio del romanzo italiano, che pone l'accento sulla dimensione politica, è questa, assai famosa: "Il sacrificio della nostra patria è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure"
Alla stessa aspirazione dell'impegno politico per risolvere attivamente i problemi della patria risponde l'incontro a Milano tra Jacopo e Patini, il vecchio poeta illuminista che dissuade il giovane dalle illusioni e dalle ambizioni: la politica richiederebbe compromessi troppo gravosi per l'animo puro e ideale del ragazzo.
Il romanzo presenta anche una memorabile pagina di riflessione sulla piccolezza della storia nell'enormità del tempo: passeggiando sugli scoscesi sentieri di Ventimiglia, Jacopo comprende come popoli e stati passano, sullo scenario di una Natura impassibile e grandiosa, che usa strumenti come la peste, la fame e i diluvi contro la violenza delle nazioni, ferocemente ostili tra loro ( la "Lettera da Ventimiglia").
Questa accanita ricerca della libertà da ogni vincolo, sociale, politico, familiare, è evidente, negli stessi decenni, anche nell'opera di Vittorio Alfieri. L'autore sviluppa una pesante critica all’aristocrazia, fatta dall’interno di quel mondo cui egli stesso appartiene e simile per tanti aspetti alle pesanti critiche di Goldoni e Parini contro la stessa classe sociale. Alfieri infatti conosce i limiti di quel mondo inattivo e ignorante, al punto che deciderà, in un estremo desiderio di libertà da ogni vincolo di obbedienza al sovrano Carlo Emanuele di Savoia, di rinunciare al suo titolo nobiliare e abbandonare il Piemonte per trasferirsi a Firenze . Naturalmente questo gli è reso possibile dalla rinuncia al titolo ma non ai cospicui proventi dei suoi redditi nobiliari.
Nel suo desiderio assoluto e totale di libertà, Alfieri scrive diverse tragedie legate alla opposizione tra un giovane e il tiranno: il "Filippo", del 1775, dove il conflitto è tra padre e figlio e contemporaneamente tra suddito e tiranno, rivale anche nell'amore per la stessa donna; il tiranno, inizialmente una figura esteriore che limita la libertà dell'eroe titanico, viene poi “interiorizzato” nelle due ultime tragedie, il "Saul" e la "Mirra": nella prima è tiranno lo stesso Dio, avvertito da Saul come suo oscuro nemico e non più come protettore, e in generale tiranno è tutto ciò che può limitare la realizzazione dell'individuo, tutto ciò che può rappresentare una convenzione, un vincolo, un ostacolo alla piena e totale affermazione dell'io, e di conseguenza al raggiungimento della felicità. Nella "Mirra" (1784-1786) il “tiranno” invisibile in lotta con l’animo della protagonista è l’amore che la ragazza prova per il suo stesso padre Ciniro, amore da lei razionalmente respinto ma così radicato nella sua anima e nel suo corpo da impedirle di sposare il giovane che le è destinato, amore che la condiziona anche contro la sua volontà razionale. La ragazza, per sottrarsi alla tirannia di questa passione, si ucciderà, rivendicando così la sua libertà. "Amo, sí; poiché a dirtelo mi sforzi; io disperatamente amo, ed indarno. Ma, qual ne sia l'oggetto, né tu mai, né persona il saprá: lo ignora ei stesso...ed a me quasi io 'l niego"
Anche ne “La Vita”, pubblicata postuma nel 1804, racconto autobiografico della sua vita divisa in varie tappe, Alfieri esprime una tensione assoluta verso la libertà, che lo porta a viaggiare inquieto per tutta l'Europa, senza mai trovare soddisfazione nei luoghi in cui giunge ma vedendo sempre, nelle condizioni sociali e politiche dei vari stati "illuminati", limiti e compromessi intollerabili al suo animo, meschinità e compromessi, violazioni continue alla piena manifestazione dell'individuo, vincoli inaccettabili dal suo animo insofferente.
Libertà, fuga, inquietudine, amore per le grandi corse e galoppate come momento di libertà assoluta perfino dal vincolo del corpo, dallo spazio e dal tempo, trovano una inattesa realizzazione nella visita della Svezia: i laghi ghiacciati, dove corre a tutta velocità con la sua slitta, la grandiosità del paesaggio silenzioso ed immenso, colpiscono la sua fantasia e il suo animo con uno scenario che corrisponde in pieno a quel bisogno di libertà totale coltivato nel suo spirito.
Feroce è invece la critica che viene rivolta a tutti i sovrani europei, tirannici benchè sembrino illuminati, come Caterina II, definita ironicamente una “Clitemnestra filosofessa” per aver fatto uccidere il marito, o come Federico II di Prussia, criticato per aver trasformato la Prussia in una “universal caserma”. La critica più feroce è rivolta proprio alla sovrana più illuminata, Maria Teresa d’Austria, alla cui corte Alfieri vede inchinarsi Metastasio, poeta italiano famosissimo, costretto a una vergognosa “genuflessioncella” che è per Alfieri il simbolo della prostituzione delle lettere, bisognose della protezione dei sovrani tiranni.