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con gli occhi di un soldato da Caporetto a Vittorio Veneto

Giuseppe Trentini a 17 anni aprì la porta al postino: era la chiamata alle armi.

"Dinnanzi a noi stava l’ignoto e io guardavo indietro verso la pianura cha mano a mano scompariva pensando con angoscia che forse non sarei mai più tornato. A destra e a sinistra paesi distrutti, case rase al suolo e buchi di granate da ogni parte fra un va e vieni rapido di carri, camion e uomini fra le mascherature”.

Il soldato Giuseppe Trentini entrò così a far parte della 47° compagnia 3° reggimento genio telegrafisti, di stanza a Firenze e successivamente, inviato al fronte nel Vicentino e nel Trevigiano: il suo compito era quello di stendere le linee telegrafiche.

DI QUALE GUERRA STIAMO PARLANDO?

La Prima guerra mondiale. Nel 1914 i rapporti tra le nazioni europee erano tesi e difficili: c'erano rivalità, sentimenti di rivalsa e di indipendenza, desideri d'espansione e nazionalismi accesi. I vari paesi erano uniti da alleanze: la triplice alleanza formata da Germania, Austria e Italia e la triplice intesa formata da Inghilterra, Russia e Francia. L'uccisione dell'erede Austriaco a Sarajevo segnò l'inizio della guerra: l'Austria dichiarò guerra alla Serbia; la Russia mobilitò l'esercito; la Germania diede inizio alle ostilità con la Francia e la Russia, alle quali si unirono Inghilterra e Giappone.

A fianco dei Tedeschi entrò in guerra l'impero ottomano. La guerra assunse dimensioni mondiali. Le nazioni in guerra usavano le tecnologie più progredite e l'efficienza delle loro industrie per costruire armi micidiali. Furono distrutte molte città e paesi e il costo della vita salì alle stelle. I piani tedeschi prevedevano una rapida guerra di movimento ma si trasformò in una tremenda guerra di posizione. Nel 1914 la guerra si posizionò su Fronte Occidentale e Fronte Orientale; dal 1915 si creò anche il Fronte Italiano

L'Italia era entrata in guerra nel 1915, per riprendersi le terre irredente.

La guerra, che doveva essere rapida e fruttuosa, secondo gli interventisti, si rivelò invece lunga e complessa. Gli uomini, che passavano mesi e mesi in trincea venivano mandati all'attacco, sprovveduti contro un nemico invisibile. Ben presto si verificò la necessità di rimpinguare le fila dell'esercito

A 18 anni Giovanni Trentini era già al fronte. Quelli come lui vennero chiamati

“i ragazzi del ‘99”

“I colpi da ‘305’ si susseguivano ogni cinque minuti e ogni volta ci facevano gelare il sangue nelle vene. Da un momento all’altro ci vedevamo portati in aria col baracchino e tutto quanto. Una scheggia attraversò la parete e la cassetta e fu fermata dalle matasse di filo. Altre caddero lì vicino, contro i sassi. Un colpo scoppiò nel fiume buttandoci addosso i ciottoli come una tempesta”.

È l’angoscia di essere colpiti dai cecchini, che spesso si accanivano contro chi tirava le linee del telegrafo, preziosissime per trasmettere gli ordini in battaglia. O il terrore di finire in cielo smembrati dai 305, proiettili larghi come il volante di un’auto che si abbattono sulla testa dei fanti italiani. È la convivenza con la morte, che imbruttisce e non rende più uomini.

E' l’alba del 27 ottobre 1918 ed è in corso la Battaglia di Vittorio Veneto.

Il telegrafista Giuseppe Trentini, al seguito della brigata Livorno, ha appena attraversato il Piave all’altezza di Vidor, per inseguire l’esercito austriaco ormai in ritirata.

“Ci alloggiammo in una ex chiesa che era servita ai nemici come comando di qualche brigata, e come infermeria. Entrammo con tutte le precauzioni perché il suolo era cosparso di bombe di ogni genere e non poche ve ne erano nascoste sotto i graticci e i calcinacci costituendo così un serio pericolo. Ma noi, pratici ormai della vita di guerra non toccammo niente e ci accontentammo di girare per visitare il posto e trovarci un angolo per riposare. Nella fuga gli Austriaci avevano portato via tutto ed i tabernacoli erano aperti e vuoti. Nel coro, dietro l’altare maggiore che serviva da infermeria trovammo bende e sangue in quantità. In un angolo vi era una scarpa che conteneva un piede tagliato di un ferito Austriaco (quello era il nda) ‘reparto chirurgia!’”.

GIUSEPPE SOPRAVVISSE ALLA GUERRA, TORNO' A CASA

Che importanza hanno queste testimonianze, oggi?

Erminia e Brunangela sono le figlie di Giuseppe Trentini.

“Si portava la guerra dentro – racconta Erminia – e qualche volta tentava di raccontarcela, ma per noi figlie quei ricordi erano qualcosa di estraneo ed incomprensibile per via della nostra giovane età. Andammo anche in una sorta di pellegrinaggio di guerra, nei luoghi dei combattimenti, ma non fu un’esperienza positiva per noi. Allora non potevamo capire. “

Ma in solaio c’erano quegli scritti, nella bella grafia di una volta, ad aspettarle.

“Mi ero ripromessa di leggerlo e di trascriverne i contenuti , ma mi fermavo sempre a pagina 10: non trovavo la forza di andare avanti”. Così, nel 1987, la decisione di spedire copia dell’originale del diario all’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve di Santo Stefano, in provincia di Arezzo che ha reso pubbliche alcune parti dell’intero diario attualmente consultabili on line – “Conclude Erminia – . Oggi ho ripreso la trascrizione del diario, sono a buon punto, ho quasi terminato il lavoro, 180 pagine in totale. Alla fine lo consegnerò ai miei nipoti, un omaggio alla memoria della nostra famiglia”.

VENNE INSIGNITO DEL TITOLO DI CAVALIERE DI VITTORIO VENETO

“Ora che è finita e che sono uscito incolume sono contento di esserci stato e se anche ho sofferto molto e non ho mai avuto una soddisfazione anche piccola: non importa.

Acqua passata non macina più e speriamo che mai simile acqua abbia di nuovo a far muovere un così terribile mulino”.

Milano, 1921

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