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Designers for Bergamo Un tributo alla città attraverso immagini e interviste ai grandi protagonisti di DimoreDesign

Puntata 18

DANIELE PARIO PERRA INCONTRA VILLA GRISMONDI FINARDI

DANIELE PARIO PERRA

lo stile è spostare poca aria quando ci si muove

Intervista a cura di Giacinto Di Pietrantonio

Giacinto Di Pietrantonio: Iniziamo col tracciare il tuo profilo: designer, artista, ricercatore… Uno alla volta o tutti insieme?

Daniele Pario Perra: Tutti insieme appassionatamente... sono cose molto simili e nascono dalla stessa base antropologica che è la progettazione. Condividere per moltiplicare. Per questo non ho mai separato nel mio lavoro il concetto di design dal concetto di architettura, in fondo lavorano entrambi sulla cultura del progetto.

G.D.P.: In questo tracciato multi identitario hai anche detto di essere un traduttore. In che senso?

D.P.P.: Si lo dico spesso. Consideriamo che è stato già inventato molto, buona parte dello scibile, quindi più che inventare da zero spesso aggiungiamo, togliamo, o traduciamo per altri settori o categorie di persone quello che già conosciamo e loro non conoscono. Credo sia importante tradurre ciò che è stato già inventato in linguaggi e codici che permettano ai progetti (e ai concetti) di essere compresi, condivisi e arricchiti da parte di persone che non si interesserebbero al “progetto di design” ma invece si interessano alla stessa materia se posta in termini di “creatività spontanea”.

Tradurre è un modo per avvicinare persone diverse.

G.D.P.: Cos’è per te l’arte?

D.P.P.: Che domanda seria, per me è l’insieme di creatività e relazione. Mi spiego meglio:

la creatività è una funzione cognitiva che nasce da connessioni e analogie inaspettate basate sul proprio background, favorita dalle immagini, anche mentali, o da esperienze personali di qualsiasi natura.

Prevede apertura mentale, curiosità, entusiasmo, e visione globale. E in fondo il concetto di relazione è lo stesso se ci pensiamo bene; nasce da connessioni e analogie, da esperienze personali, prevede apertura mentale, curiosità, entusiasmo, e visione globale. Motivo per il quale da diversi anni mi occupo di arte relazionale e con una visione molto semplificata: è quella forma d’arte che prevede la costruzione di relazioni tra le persone per poter definire la sua espressione opera. Spesso le tracce restano solo nelle relazioni e nel momento in cui il lavoro si completa con l’interazione dei partecipanti, è un format.

G.D.P.: E il design?

D.P.P.: Questa è molto più semplice: urgenza progettuale per migliorare le proprie ed altrui condizioni di vita combinano abilità visionaria, capacità di astrazione, capacità poetica e capacità tecnologica.

G.D.P.: L’arte, il design ci devono cambiare?

D.P.P.: Ci aprono gli occhi, spesso su cose che sappiamo molto bene ma che lasciamo cadere nella memoria più profonda per poi tornare alla luce in presenza di precisi stimoli.

G.D.P.: Come e quando hai iniziato a occuparti di progetto?

D.P.P.: Quando ho iniziato a mettere il naso fuori dal mondo del design e a parlare con la gente, credo di aver importunato, intervistato, chiacchierato migliaia di persone di mezzo mondo per capire che cos’è un progetto e soprattutto qual era il loro progetto…

G.D.P.: Perché?

D.P.P.:

Non mi accontentavo del design che trovavo nei negozi di design, ero molto attratto anche dal design che trovavo in ferramenta. Poi, dopo un po’, ne ho capito la relazione.

G.D.P.: Si parla di te come di un artista dalla visione laterale, cosa vuol dire?

D.P.P.: Non entro nel concetto filosofico di visione laterale ma propongo la mia versione, molto pratica:

nell’atto del vedere, del cercare, si rappresenta la facoltà di non accettare nessuna cosa come definitiva perché siamo alla costante ricerca di una stratificazione continua di usi e possibilità.

Ogni volta che guardiamo, indaghiamo e interpretiamo il territorio durante il nostro passaggio e spesso siamo alla ricerca di modifiche riconducibili all’azione di altri uomini e delle loro conoscenze applicate. Se camminiamo guardiamo la strada frontalmente, perseguendo in direzione retta per non sbattere contro un palo, ma attorno a noi, ai margini del nostro spettro visivo, esiste un mondo parallelo: il luogo di una socialità, di un’economia e di una progettazione alternativa e parallele. Guardando in altre direzioni che non siano a noi frontali, troviamo sempre gesti nascosti, laterali, per loro stessa natura meno visibili e pertanto meno controllabili. Qui si nasconde quello che cerco, gesti che sfuggono al controllo, al preordinato, all’istituzionale.

Sia L’arte che il design “spontaneo” risiedono qui, basta fare una prova camminando sul marciapiede di casa e guardare ovunque con la coda dell’occhio per scoprire un universo parallelo e inaspettato.

G.D.P.: Utilizzi mezzi molto diversi, perché? Ne esiste uno privilegiato ad esempio la fotografia?

D.P.P.: No, sono attratto da ogni mezzo espressivo e spesso ha rappresentato un problema perché ai professionisti è richiesta una “specialità” per essere riconosciuti e riconoscibili, scegliere è sempre stato un problema, siamo circondati da cose così affascinanti che è davvero difficile per chi fa ricerca costantemente.

G.D.P.: Ad un certo punto della tua vita hai concentrato la tua ricerca sul Low cost design. Ci spieghi cosa intendi per questo?

D.P.P.: Low Cost Design è una ricerca sull’essenza della creatività spontanea. È un progetto che nasce da una considerazione molto semplice: siamo circondati da migliaia di oggetti e strutture che non seguono le regole della progettazione convenzionale, questi non sono solamente prodotti dell’ingegno, ma indicatori culturali della progettualità collettiva. È un database della creatività spontanea Low Cost, che va dalla progettazione alla sociologia del territorio passando attraverso la storia dei luoghi e delle persone che attraversa.

Una banca dati costituita prevalentemente da immagini, come in un dizionario visuale, con migliaia di esempi sul cambio d’uso degli oggetti e del territorio attraverso l’azione dei suoi abitanti.

G.D.P.: Visto che il Low Cost Design comprende, nella maggior parte dei casi, l’autoproduzione, ciò vuol dire che tutti sono, o posso essere designer, artisti?

D.P.P.: Già lo sono, applicano solo linguaggi e metodologie diverse da chi ha studiato l’arte, o il design per farne la propria professione principale.

G.D.P.: Questo mette al centro del progetto la relazione tra e con le persone?

D.P.P.: Certamente.

G.D.P.: In tal senso qual è la tua modalità progettuale?

D.P.P.: Negli ultimi anni sto lavorando molto sul concetto di format, di cui molti hanno una concezione ahimè televisiva, la sua definizione sui dizionari è talmente parziale e incompleta che sto cercando di proporne una nuova:

un format è un contenitore di azioni e ingegnerie relazionali creato per promuovere un prodotto, o un progetto sia reale che virtuale.

Contiene elementi di comunicazione e intrattenimento utili al coinvolgimento delle persone attraverso i loro comportamenti e le loro emozioni. Le suggestioni della comunicazione vengono già incorporate nell’ingegno e nella qualità dei processi relazionali che lo costituiscono. Detta così sembra un po’ fredda, ma è una modalità di lavoro che possiamo applicare alle discipline di cui parliamo.

G.D.P.: Puoi parlarci di una tua giornata tipo? Esiste una tua giornata tipo?

D.P.P.: Non saprei, non ho giornate molto tipiche.

G.D.P.: Ha un senso lo stile per te?

D.P.P.: Certo, è spostare poca aria quando ci si muove, diceva mia nonna.

G.D.P.: Cosa pensi di aver lasciato e cosa di aver acquisito dal lavorare con gli altri?

D.P.P.: A condividere per moltiplicare, ad ampliare la mia conoscenza progettuale, e non ultima l’importanza del team building che pratico costantemente.

G.D.P.: Per te il processo, come la relazione, è più importante della forma finale?

D.P.P.: Si, è più importante, è già opera, lavoro, progetto, molte volte non diamo forme compiute ma momenti di vita che restano nel nostro immaginario fino a modificare altre forme in un altro momento. La relazione, in ogni sua forma, è come l’economia circolare, a volte non ha un ritorno diretto ma quantitativamente e qualitativamente esponenziale quando meno te lo aspetti.

G.D.P.: Questa idea di Low Cost Design, che non vuol dire design che costa poco, ma più significativamente autoproduzione, in quanto tale rimette al centro l’essere?

D.P.P.: Esattamente il nostro concetto di Low Cost non è legato all’idea di basso costo, quanto al senso di basso dispendio, nelle sue dimensioni sia personali che collettive.

L’equazione comune tra Low Cost e bassa qualità porta alla produzione di merci a scadenza programmata, quindi ad aumentare lo scarto e diminuire la riconversione produttiva. Per noi la riduzione del costo avviene grazie a quelle intuizioni e a quelle pratiche che ci consentono di risparmiare grazie alla ricerca di nuovi applicativi senza dover produrre (e poi scartare) nuovi oggetti o strutture.

G.D.P.: E questo rimette in discussione l’idea dell’autorialità e del copyright, una discussione non confinata in ambito artistico, ma più ampio, soprattutto nell’era di internet?

D.P.P.: Cito solo Seneca: le grandi invenzioni sono di tutta l’umanità. Detto questo il copyright, seppur importante si relaziona ancora all’economia diretta: io produco un oggetto tu lo compri fine. Questa modalità, della fluidità della rete, della dinamicità dei processi relazionali, dell’universo social, è messa in discussione: buona parte dell’economia oggi è indiretta e circolare. Credo che il sistema di protezione delle idee avrà grandi passi da fare nei prossimi tempi perché la contaminazione non è necessariamente la copia di un brevetto o di un oggetto di design, comunque la si voglia vedere è mia opinione che sia obsoleto. Meglio spendere i soldi in comunicazione per far conoscere il proprio progetto e fare in modo che se qualcuno decida di copiarlo sia chiaro a tutti che il proprio è quello originale, l’utente finale sceglierà di conseguenza.

G.D.P.: Ma in tutto questo essere presente della relazione e del processo, che posto occupa, se lo occupa, la memoria, il passato?

D.P.P.: Occupa uno spazio molto più grande di quanto pensiamo, la storia delle buone pratiche ce lo insegna, tutto parte dall’analisi e dalla comparazione con le esperienze già vissute, ad ogni latitudine ed in ogni periodo storico, per me è insostituibile.

G.D.P.: Come sai la mostra DimoreDesign a Bergamo in cui ti abbiamo invitato ad esporre il Low Cost Design presso la dimora storica Grismondi Finardi prevedeva proprio la relazione tra il design contemporaneo e un luogo storico. Come hai affrontato allora questo argomento ?

D.P.P.: In modo molto naturale, i luoghi e i contenuti si influenzano a vicenda: se i contenuti ci sono, tutto funziona bene….

G.D.P.: Una parte del tuo lavoro è quella dell’insegnamento e anche qui particolare, parallelo e non frontale?

D.P.P.: Cerchiamo di guidarli a lavorare con gli altri, non potranno lavorare da soli, e lo facciamo in modo diretto, esperienziale e in costante contatto con il mondo reale.

Credo sia il metodo di apprendimento più efficace oggi, tante altre esperienze si possono fare in rete o sui libri. Prima si impara ad avvitare la lampadina (o a fulminarla per chi già lo sa fare) prima impariamo a ri-progettarla con le nostre idee.

BIO

DANIELE PARIO PERRA (Bologna, 1969) è un designer italiano, un artista relazionale e un ricercatore impegnato in attività espositive, progetti di ricerca e insegnamento. Il suo lavoro si sviluppa in ambiti disciplinari diversi: arte, design, sociologia, antropologia, architettura e geopolitica. Si occupa da diversi anni di creatività spontanea, tendenze culturali e modelli di sviluppo urbano, in una costante relazione tra cultura materiale e patrimonio simbolico. Fotografia, video-installazione, e documentario sono gli strumenti di indagine principali per lo studio e la creazione di relazioni, ai quali si affiancano spesso metodologie proprie della comunicazione e del networking nella produzione di format e workshop tematici. Vive e lavora tra Italia e Olanda ed è impegnato da diversi anni in progetti d’arte e comunicazione centrati sulle relazioni tra i singoli individui e la società che compongono. Dal 2004 è stato docente universitario e tutor in progetti di formazione e corsi all’Università La Sapienza di Roma, alla Delft University of Technology e al Politecnico di Milano. Nel 2001 ha iniziato il database Low Cost Design che contiene oltre 7000 scatti fotografici sulle trasformazioni degli oggetti e dello spazio pubblico in Europa e nell’area del Mediterraneo Low Cost Design dal 2011 è anche una mostra itinerante con più di cinquecento oggetti e strutture, raccolti ai quattro angoli del mondo, indirizzati dagli strumenti tecnologici e culturali a disposizione, da abilità intuitiva, capacità di astrazione, caso ed errore. La mostra, inaugurata alla 51ª edizione Salone Internazionale del Mobile di Milano alla Fabbrica del Vapore, è in costante movimento tra l’Italia e le principali capitali Europee, rivelando un patrimonio interdisciplinare che lega la cultura del design alle discipline sociali, alla storia, all’economia e alla politica. Le pubblicazioni e l’esposizione, concepite come un progetto aperto e costantemente in progress, si arricchiscono a ogni tappa di contributi locali e altri oggetti interpretati, ricomposti e adattati a nuovi comportamenti umani.

www.lowcostdesign.org

VILLA GRISMONDI FINARDI

Raccontare la storia di Villa Grismondi Finardi significa avventurarsi nella scoperta delle radici più intime del panorama intellettuale italiano dal settecento in avanti. Il Conte Luigi Grismondi, la moglie Paolina Secco Suardo, il matematico Mascheroni e il garibaldino Giovanni Finardi sono solo alcuni degli eccentrici personaggi che hanno frequentato le stanze di questa dimora negli anni. La Villa, rimodulata con il passare dei secoli, si presenta attualmente come un incrocio tra il settecentesco luogo di villeggiatura e l’antica abitazione rurale bergamasca. Il suo androne d’ingresso, dove si conservano affreschi sacri di epoca medievale, l’ampio e ombroso giardino, così come la collocazione della dimora nel quartiere “liberty” della città, la rendono una testimone eccezionale delle epoche passate e un luogo che con la sua quiete è capace di farci immergere in un’atmosfera d’altri tempi.

Intervista a cura di Giacinto Di Pietrantonio | Testi a cura di Leone Belotti | Fotografie: Ph. installazione Daniele Pario Perra a Villa Grismondi Finardi © Ezio Manciucca | Editing di Roberta Facheris