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Il Settecento neoclassico armonia e antichità

Il Neoclassicismo, che caratterizza nell'arte e nella poesia buona parte della cultura del secondo Settecento, trova il suo punto d'origine nella definizione di Johann Winckelmann, storico dell'arte tedesco, che nel 1755 definisce le caratteristiche salienti dell'arte greca nei termini di “nobile semplicità e quieta grandezza”: un'armonia esteriore che nasce non dalla mancanza di tensioni ma dal loro equilibrio : “Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata”.

Tra gli scultori, l'italiano Antonio Canova (Perseo e Paolina Bonaparte), tra i pittori, Jacques-Louis David, trovano ispirazione nel mondo classico, greco e romano, riproponendo anche i personaggi contemporanei (Napoleone e la sua famiglia) in atteggiamenti da eroe classico o ricercando nella storia mitica delle origini di Roma esempi di eroismo e sacrificio per la patria, come nel quadro "Orazi e Curiazi"

Il neoclassicismo non porta solo ad apprezzare l’imitazione dell’arte greca creando una specifica corrente di ispirazione antica nella pittura e nella scultura, ma a comporre anche in poesia e prosa opere ispirate alla grecità o alla romanità classica come luogo ideale dello spirito, luogo della perfezione e dell’armonia, luogo dove trovare il proprio alter-ego e le proprie aspirazioni, oppure luogo di una perfezione ideale ormai perduta per sempre e rimpianta, vivendo in un presente condannato all'infelicità e all'imperfezione.

Rientra nella prima tipologia di opere (il mondo classico come luogo ideale, luogo dello spirito dove ritrovare la propria vera natura e da ricercare nel presente) il “Viaggio in Italia” del 1813/17di Goethe, in cui con ammirazione Goethe, che soggiorna in Italia per un paio d'anni, dopo un'improvvisa fuga da Weimar, dove lavorava come ministro, ripercorre il nostro paese e rinasce come artista.

La fuga da Weimar, meticolosamente preparata, avviene di notte e per alcuni mesi egli non da' notizia di se' alla sua famiglia. Cerca di rinascere come artista e di ritrovare occasioni di far rinascere la sua creatività, che sente soffocata. Egli evita tutti i luoghi dell'arte barocca e rinascimentale, snobba Giotto, la Cappella Sistina e Bernini, insegue il sogno della riscoperta delle tracce classiche della romanità, visitando le vestigia romane di Verona e poi Roma stessa, dove soggiorna per alcuni mesi: qui riprende a disegnare, a scrivere e a completare numerose opere interrotte, trovando nelle rovine del mondo classico la sua "seconda natura" e l'occasione per rinascere all'arte e alla vita

Il rimpianto del mondo classico, luogo di un equilibrio tra uomini e dei che convivevano serenamente ma che ora è perduto per sempre, è invece espresso in un'ode di Friedrich Schiller, Agli dei della Grecia del 1788. In essa il poeta descrive il mondo greco come l’ideale di un mondo perfetto, dove tutto era diverso rispetto al presente, perché vi era traccia della presenza degli dei sulla terra: un mondo sereno, senza tristezza, dove uomini e dei vivevano insieme, un mondo che quando si è dissolto ha fatto sparire ogni bellezza e ogni grandezza.

Sì, tornarono a casa, e presero con sè ogni bellezza, ogni grandezza, ogni colore, ogni vita, lasciandoci solo una parola senz'anima. Strappati al flusso del tempo, si rifugiarono sulle vette del Pindo: quel che vive immortale nel canto deve perire nella vita"

La stessa tensione verso la Grecità come luogo ideale e rimpianto è ravvisabile in molte poesie del tedesco Friedrich Holderlin (decennio dal 1790) e del poeta inglese John Keats, come nella sua celebre ode "Sopra un'urna greca" del 1819: l'urna, con cui il poeta intesse un colloquio, quasi interrogando le figure raffigurate su essa, persiste nel tempo, al di là delle distruzioni delle generazioni, conservando per ogni uomo del futuro l'unico messaggio che conti sapere nella terra, "bellezza è verità, verità bellezza".

Tra gli scrittori italiani, Ugo Foscolo esprime l'anima neoclassica della cultura sette/ottocentesca attraverso alcuni dei suoi sonetti, in particolare "A Zacinto" del 1802, e nella parte conclusiva del lungo poema "I Sepolcri" del 1807

Nel sonetto “A Zacinto” Foscolo si identifica con un moderno Ulisse, “bello di fama e di sventura”, reso cioè glorioso dal destino avverso, da quell'esilio che lo ha allontanato dalla sua terra; lo stesso Foscolo tuttavia, diversamente dall'eroe greco, è condannato a non poter più tornare nella sua patria, Zacinto, e alle sue "sacre sponde", nè nella seconda, Venezia, dove si trasferì adolescente e che dovette abbandonare perché ceduta all’Austria da Napoleone, nè nella terza, l’Italia, da cui fu esiliato al trionfo degli Austriaci sull’armata napoleonica di cui Foscolo faceva parte; l’eroe greco potè baciare la sua “petrosa Itaca”, mentre Foscolo, che morirà ridotto in estrema povertà in Inghilterra, dopo essersi venduto tutti i libri e imprigionato per debiti, non ha alcuna patria dove poter fare ritorno.

Il carme "Dei Sepolcri" nasce sull’onda di una contestata decisione napoleonica, l'Editto di Saint Cloud del 1804, che prevedeva di seppellire i defunti non più all'interno delle chiese, e di costruire tombe dei defunti tutte uguali, in nome del criterio di "uguaglianza" della Rivoluzione Francese; il poema da' l'occasione a Foscolo di una lunga riflessione sull’utilità dei sepolcri e sul significato civile delle tombe e della memoria in una nazione. Se ogni paese ha un luogo collettivo in cui identificare simbolicamente i propri valori, questo è per l'Italia Santa Croce a Firenze, in cui sono sepolti i grandi della nazione, Machiavelli, Galilei e Alfieri.

La parte conclusiva del poema descrive la tomba di Elettra, ninfa amata da Giove e capostipite dei Troiani; essa è il luogo dove si incontrano materialmente le generazioni successive di quel popolo: luogo di preghiera, di oracoli, di educazione dei giovani, luogo dove, come dice Cassandra, avranno sede i Penati di Troia, ossia le divinità protettrici della città, anche quando le mura saranno distrutte. 

La tomba di Elettra, ninfa amata da Giove e capostipite dei Troiani, è il luogo dove si incontrano materialmente le generazioni successive di quel popolo: luogo di preghiera, di oracoli, di educazione dei giovani, luogo dove, come dice Cassandra, avranno sede i Penati di Troia, ossia la radice della città, anche quando le mura saranno distrutte. E’ vicino a quella tomba che Cassandra “vede” l’arrivo di un vecchio mendicante (Omero), un cieco che entrerà ad abbracciare gli "avelli", ossia le tombe. Omero è emblema della poesia che interroga la morte ma al tempo stesso riscatta le sconfitte della vita quando celebra il vero eroismo. Solo il poeta potrà placare col canto le “afflitte anime” dei vinti, rendendo immortale il sacrificio di Ettore in una guerra vinta dai principi achei, brutalmente forti nella loro presuntuosa superiorità. Come dice Foscolo nel poema, l’ “armonia vince di mille secoli il silenzio” e anche se della Troade non resta nulla, ma essa è ormai "deserta e inseminata", Ettore è l’esempio luminoso offerto agli occhi dei lettori

Foscolo si identifica con il poeta Omero, emblema della grecità, ed anche col personaggio di Ettore, lo sconfitto, quello che ha perso tutto come lo stesso Foscolo, l’eroe che avrà “onore di pianti” finchè durerà la vita umana. Pensando a se stesso e al suo destino di esule, al quale la vita ha tolto tutto, Foscolo dice: "E me che i tempi ed il desio d’onore Fan per diversa gente ir fuggitivo, Me ad evocar gli eroi chiamin le Muse Del mortale pensiero animatrici"

La poesia è tutto ciò che può "riparare" i guasti del tempo, l'avversità del destino, le sconfitte del vivere, riportando la mente a un paradigma di bellezza dove anche la sconfitta di Ettore può avere un senso e un risarcimento dalla sconfitta

Created By
rossana levati
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