Il Sorriso nell'Arte a cura di G. M. Nardi - G. Fermanelli - M. Nardi

Prefazione

Il sorriso è un mezzo di comunicazione fra i più efficaci, l’uomo lo utilizza più o meno inconsapevolmente per esprimere le proprie emozioni.

Il sorriso è un’espressione innata, si manifesta spontaneamente in tutti i bambini nei primi giorni di vita, e già dopo il sesto mese diviene una forma di socializzazione; non viene appreso per imitazione, ma nasce come reazione fisiologica, per divenire poi col tempo una manifestazione con intenti comunicativi.

Scopo del nostro studio è dimostrare come questa espressione della bocca e del volto, sia - sin dai tempi antichi- radicata nella vita e nel carattere dell’uomo e dell’artista, e perfino nel suo inconscio: atrraverso l’arte figurativa l’uomo ha voluto rappresentare sé stesso e i suoi stati d’animo, o forse, meglio ancora, il suo mondo interiore.

Nelle opere d’arte che abbiamo preso in esame, il trait d’union è la spontaneità, le espressioni subitanee, e spesso anche la spensieratezza, aspetti che senza dubbio l’artista voleva comunicare allo spettatore.

Ma il bisogno dell’uomo di rappresentarsi sorridente nasconde molto probabilmente anche un desiderio di benessere psicofisico, di bellezza, di gioia e di gaiezza interiore, che il fruitore dell’opera d’arte può fare suo, attraverso un processo di interiorizzazione.

Giulia Fermanelli

Esistono diversi tipi di sorriso e ciascun sorriso ha le sue modificazioni sottili a seconda del sentimento che lo anima. Ci sono sorrisi aperti e marcati che esprimono la gioia, il tripudio e il divertimento, sorrisi appena accennati che manifestano la soddisfazione e l’autocompiacimento, e sorrisi nascosti e trattenuti espressi soltanto con gli occhi che tradiscono la timidezza o l’astuzia. C’è poi il sorriso che esprime disprezzo e quello beffardo, quello di commiserazione, quello che indica incertezza e disagio, e quello sensuale.

Nella persona che ride la pelle del volto si tira, le guance si gonfiano e il colore della pelle si fa più acceso, le sopracciglia si sollevano e si arcuano, il naso si allarga, gli occhi brillano, le pupille si dilatano e gli angoli della bocca si sollevano. A volte la bocca si apre alla risata lasciando scoperti i denti (Pasquinelli).

Il sorriso ha una natura inafferrabile, e per questo è difficile darne una definizione precisa. Nella cultura comune il sorriso rappresenta l’espressione della gioia, della felicità e del piacere.

Ciascun sorriso è legato ad uno stato d’animo, e quindi può esprimere serenità, benessere e apertura nei confronti dell’altro; oppure può essere spiritoso, ironico, trasognato, convenzionale o nostalgico, o ancora malinconico, beffardo, meschino,maligno.

Il sorriso viene usato sia per manifestare uno stato emotivo, sia come strumento di comunicazione per rapportarsi con gli altri.

In alcuni casi il sorriso è spontaneo e involontario, compatibilmente con il carattere e le attitudini della persona, altre volte invece è incanalato in un codice di comportamento e può essere semplicemente una forma convenzionale di approccio.

Storia del sorriso

La giornata più perduta è quella in cui non si è riso

Nicolas De Chamfort

I termini “ridere” e “sorridere” rappresentano soltanto una sintesi verbale di molteplici sfumature espressive, ad ognuna delle quali narratori e poeti hanno cercato in ogni epoca di assegnare aggettivi significativi.

La bocca, con la forma delle labbra ed il sorriso, ha tentato in ogni epoca l’estro descrittivo degli artisti ed è stata considerata strumento eloquente della mente e del cuore.

A differenza degli altri organi del volto che assolvono ad una sola funzione, la bocca viene utilizzata per baciare, sorridere, urlare, parlare e cantare, in altre parole per esprimere parole ed emozioni.

Attraverso la bocca, il neonato instaura il primo contatto con il mondo, dalla bocca riceverà il nutrimento e in seguito vi porterà il pollice o il ciuccio, quando questi diverranno sostituti del seno materno. Talvolta, nell’età adulta, il pollice viene sostituto dalla sigaretta o da una penna, o ancora dalla stanghetta degli occhiali, e la bocca diviene così il sostituto del piacere (Guglielmi).

Il Settecento è il secolo in cui la rappresentazione del sorriso si diffonde maggiormente. L’Enciclopedia di Diderot e D’Alembert così definiva il sorriso: “Sorriso: riso leggero generato da moti dell’anima delicati e tranquilli, la bocca si allarga leggermente agli angoli, senza aprirsi, le guance si riempiono e, in alcune persone fra la bocca e i contorni del volto si forma un leggero infossamento a cui diamo il nome di fossetta, che rende ancora più attraenti le persone belle. Il sorriso è un segno di soddisfazione interiore, di benevolenza, di plauso. In realtà è anche un modo per esprimere il disprezzo, l’insulto, lo scherno; ma in questo caso si tratta di un sorriso maligno, che induce a serrare ancora di più la bocca con un movimento del labbro inferiore. Il sorriso di approvazione e di intesa è una delle maggiori attrattive dell’oggetto amato, soprattutto quando esso deriva da un appagamento che ha la propria origine nel cuore”.

Il sorriso dei greci

La rappresentazione del sorriso nell’arte figurativa ha origini piuttosto antiche: le prime bocche sorridenti risalgono all’arte greca e più precisamente al periodo che ha preceduto l’età propriamente classica e meglio noto come periodo arcaico.

In questo periodo, durato circa due secoli, sono state scolpite molte figure di uomini e di donne sorridenti, molte delle quali sono state ritrovate in tutto il territorio della Grecia, in Asia Minore e nelle isole dell’Egeo. Prima di allora, esempi di sorrisi erano quello placido del principe di Lagas, Gudea in Mesopotamia, e quelli mostruosi dei bassorilievi assiri.

Il sorriso arcaico fece la sua comparsa intorno al 590 a. C. - per poi dileguarsi verso la gravità classica verso il 480 a. C. -, un centinaio di anni durante i quali l’ebbrezza del vivere sembra precedere la serenità dell’esistere di Fidia, prima della sensualità di Prassitele e delle tardi imitazioni della romanità (Christian de Bartillat)

Eroe morente dal frontone occidentale del Tempio di Atena Aphàia ad Egina, Monaco di Baviera
Cavaliere Rampin, (VI-V sec. a C.), Parigi, Museo del Louvre

Il sorriso etrusco

Gli scultori etruschi ripresero il particolare del sorriso dalla scultura arcaica ionica e lo usarono per animare i volti delle figure, soddisfacendo così il loro bisogno di idealizzazione.

L’arte etrusca era un’arte dall’impronta decisamente primitiva, intrisa però di influenze orientali e anche greche. I tratti più evidenti della figura umana scolpita erano un realismo molto marcato e una grande forza espressiva, entrambi derivanti dal desiderio di conferire alle forme plastiche uno spiccato senso del movimento.

La grande fioritura della statuaria etrusca si ebbe nel VI secolo a. C., quando si incominciò a decorare i templi con sculture di grande bellezza, come quella policroma di Apollo, realizzata per la decorazione della facciata del santuario di Veio. Questa figura era stata desunta dalla mitologia dei greci per i quali Apollo era il dio del sole e della luce.

Il sorriso nel medioevo

Nel Medioevo gli artisti e i loro committenti traevano ispirazione dai dettami della precettistica laica e religiosa ed erano estremamente attenti alla raffigurazione di costumi e di comportamenti dignitosamente contenuti. Di conseguenza non venivano realizzate molto spesso figure dall’espressività spiccata, e la rappresentazione di aperte risate e di ampi sorrisi era piuttosto rara.

Cangrande della Scala (XII sec.), Scultore ignoto, Verona Museo di Castelvecchio
Reglindis, part., Scultore ignoto, (1245), Naumburg, Cattedrale

L’età moderna

“Quel ch’ella par quand’un poco sorride”.

DANTE ALIGHIERI, Vita nova

In epoca moderna gli artisti hanno prestato grande attenzione allo studio e all’espressione del volto e hanno rappresentato spesso volti animati dal sorriso in tutte le sue varianti. Il dato realistico e la spontaneità delle espressioni trovarono piena affermazione soltanto dal Diciasettesimo secolo in poi e soltanto nelle scene di genere e nei ritratti di carattere non ufficiale.

“Dell’infinito feci i miei sorrisi”

GABRIELE D’ANNUNZIO, Elettra 1903

Il sorriso più noto dell’arte moderna è quello di Monna Lisa, verosimilmente moglie del mercante fiorentino Francesco del Giocondo, e per questo nota come la Gioconda (1503-5), opera di Leonardo Da Vinci (1452-1519). Questo sorriso affascina lo spettatore perché anima con un’intensità inquietante il volto della donna, rimanendo però indefinito e indefinibile sul piano delle emozioni. Il grande fascino che esso ha esercitato nel corso dei secoli è testimoniato dall’altissimo numero di pagine che sono state scritte e dagli innumerevoli studi che sono stati elaborati. Primo fra tutti il Vasari (1511-1574) lo descrisse nelle Vite (1568) come “un ghigno tanto piacevole che era cosa più divina che umana a vederlo, et era tenuta cosa maravigliosa, per non essere il vivo altrimenti”. Vasari rivelò che Leonardo “teneva mentre che la ritraeva, chi sonasse e cantasse, e di continuo buffoni che la facessino stare allegra per levar via quel malinconico, che suol dar la pittura a’ ritratti che si fanno”.

Antonello da Messina, Ritratto di giovane uomo, (1470 ca.), New York, The Metropolitan Museum of Art

Antonello da Messina prima del 1465 dipinge il Ritratto di uomo, che si impone alla vista dello spettatore con una espressione spontanea ma misurata, con un sorriso abilmente reso, mediante una attenta caratterizzazione e una minuziosa descrizione dei particolari, dal formarsi delle rughe di espressione, al sopracciglio sollevato. In questo ritratto, non è soltanto l’atteggiamento delle labbra a suggerire il sorriso, ma anche le guance rigonfie e sollevate, e le rughe intorno agli occhi. In un altro bellissimo ritratto di Antonello, dal titolo Ritratto di giovane uomo del 1470 circa, la curva delle labbra è ancora più accentuata, mentre i tratti del viso, anche forse per la più giovane età, appaiono più distesi.

Il Cinquecento:

lo status, il decoro e l’espressività

Nonostante le novità introdotte da Leonardo, nel Cinquecento il ritratto risentiva ancora dell’influenza del proprio tempo, i personaggi erano calati in una atmosfera ideale e magica, e sembravano immersi in una dimensione senza tempo. Basti osservare – solo per citarne alcuni - i ritratti di Tiziano o di Lorenzo Lotto, per notare che il tema dell’introspezione psicologica era predominante. Per comprendere appieno il ritratto del Cinquecento si deve tener presente che durante il periodo dell’assolutismo monarchico la rappresentazione visiva del potere era preponderante. Nei ritratti ufficiali, all’analisi del volto si aggiungeva la descrizione minuziosa dell’abbigliamento, dell’ambiente e della posa. Tutti questi elementi dovevano comunicare allo spettatore la personalità e lo status dei personaggi, fornendogli una chiave di lettura dell’opera d’arte. Nei ritratti di destinazione privata si tendeva generalmente a caratterizzare il personaggio mediante degli attributi, anche simbolici, esplicativi dello stato d’animo e del momento contingente, invece di lasciare che le passioni si manifestassero sul volto.

Francesco Caroto, Fanciullo con disegno (1523), Verona, Museo di Castelvecchio

Anche la Schiava turca (1532) di Girolamo Francesco Maria Mazzola, detto il Parmigianino (1503-1540), cattura gli occhi di chi guarda con un sorriso timido ma allo stesso tempo intrigante, e con il rossore che le illumina le guance.

Il sorriso nel Seicento

Nel Seicento con Michelangelo da Caravaggio (1571-1610) la spontaneità delle espressioni entra a pieno titolo anche nella rappresentazione sacra: il sorriso del San Giovannino (1600 circa) comunica un sentimento di “cristiana letizia”, o “allegrezza” o “ilarità”.

Hendrik Terbrugghen, Bravo laughing with a bass viola anda a glass (1625), Windsor, Royal Collection
Frans Hals, Mulatto (1628-30), Leipzig, Museum der Bildenden Kunste

Gli studi sull’espressione

Nel Settecento le rappresentazioni del sorriso rientrano negli studi sull’espressione, nell’Autoritratto Messerschmidt (1736-1783) si raffigura con il volto dominato dal riso, ma il suo non è un riso cordiale e amabile, è piuttosto un riso senza allegria. Su questo volto è visibile tutto ciò che nel riso accade o può accadere, dal formarsi delle rughe intorno agli occhi e agli angoli della bocca, ai denti che si scoprono. Non è altro che l’immagine di un uomo che ride. Messerschmidt ha voluto rappresentare il gioco mimico, la deformazione plastica del volto in deteminate condizioni, mettendo l’accento sull’attività fisica e non sulla valenza psichica (Kris).

Artisti romantici come William Hogart (1697-1764), il cui interesse si soffermò sulla mimica del volto, intento com’era a mettere in evidenza il carattere dei suoi soggetti, o Joseph Ducreux (1735-1802), anch’egli fortemente interessato allo studio della fisiognomica, affrontarono il tema dell’espressione, e realizzarono volti animati dalla risata (ma anche dal dolore, dal pianto, dall’urlo) (Gombrich).

Maurice Quentin de La Tour, Autoritratto (1737), Ginevra, Musée d'Art et d'Histoire
Maurice Quentin de La Tour, Autoritratto (1751), Amièns, Musée de Picardie

L‘età contemporanea

Edvard Munch, L’Urlo (1893), Oslo, Galleria Nazionale, Museo Munch
Andy Wharol, Marilyn Monroe Screen print (1967), Contemporary Beirut Tower

Per informazioni:

Email: info@actamedica.it

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Angelo Lombardi
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