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Come il metodo GDS ha cambiato la mia pratica in chirurgia e nella mia presa in carico nel servizio ospedaliero di patologie della colonna vertebrale. Esempio concreto: l’asimmetria, normalità o anomalia?

Autore: Paul Fayada, chirurgo ortopedico, Policlinico di Saint Pol-sur-Ternoise

Fonte: www.ictgds.org

Catene muscolari GDS e chirurgia rachidea

Per capire l’impatto delle catene muscolari nella mia pratica quotidiana di chirurgia rachidea devo riassumere 15 anni di pratica sia personale che professionale. Vorrei innanzitutto citare Marcel Jousse che a suo modo resta un esempio per il quotidiano: “il peccato originale della nostra civiltà di stile scritto è di credersi la civiltà per eccellenza. Invece di restringere il campo di osservazione sulla lettera morta dei testi, bisogna sviluppare una metodologia basata sulla presa di coscienza di uno strumento vivente, il gesto umano. Questo strumento si elabora istintivamente in ciascuno di noi e si affina man mano che noi ne prendiamo una più chiara coscienza. Per meglio conoscersi bisogna ben osservarsi. Il vero laboratorio è un osservatorio di se stesso ed è un duro lavoro imparare a vedersi. Bisogna quindi creare dei laboratori di presa di coscienza.”

Einstein ha detto: ”è più difficile rompere un pregiudizio che un atomo.”

Dopo 20 anni ho dovuto rompere molti pregiudizi in materia terapeutica ed è l’applicazione quotidiana della frase di Marcel Jousse che mi ha permesso di prendere coscienza di questo strumento vivo meraviglioso che è il gesto umano.

Vent’anni fa per me giovane chirurgo c’erano due tipi di pazienti:

da una parte i pazienti con una sofferenza oggettiva e oggettivata da esami radiografici o scanner: questi pazienti potevano a volte aver bisogno di un intervento chirurgico.

D’altra parte i pazienti senza una sofferenza oggettiva che dovevano evidentemente andare a consultare il loro psichiatra.

Allora perché interessarsi alla psicologia quando si è chirurghi?

Prima di tutto i pazienti non ci dicono tutto perché dà fastidio loro parlare e soprattutto dà fastidio a noi ascoltare. Mi ricordo di questo paziente che avevo operato vent’anni fa che aveva trovato sollievo soltanto nei due giorni della sua chirurgia e poi con dei dolori per i quali le immagini non mettevano in evidenza spiegazioni razionali con un addome molto contratto. Questo paziente aveva finito per raccontare molti mesi più tardi che sua moglie gli aveva annunciato due giorni dopo il suo intervento che voleva divorziare e che suo figlio si drogava. Al momento in cui l’avevo rivisto tutto sorridente e indolore la situazione si era sistemata e le contratture muscolari erano ugualmente scomparse.

All’epoca non avevo molto prestato attenzione a questi problemi familiari. Poi il paziente era tornato con lo stesso quadro di dolori e contratture e questa volta ho avuto la presenza di spirito di fargli precisare la sua situazione familiare che era di nuovo catastrofica. È stato questo paziente che mi ha permesso di interrogarmi progressivamente sui legami che possono esistere tra la psicologia e il fisico.

Gli esempi di questo tipo sono diventati quotidiani nella mia pratica professionale.

L’incontro con le catene muscolari è stato per me un perno notevole e fortemente sconcertante sia nel mio sviluppo personale che nella mia carriera professionale. Questo incontro è stato il punto di partenza di una riflessione sul funzionamento così complesso del nostro corpo preso nella sua globalità cosa che avevo ignorato in quanto medico.

Le catene muscolari mi hanno permesso di capire che la psiche può determinare un certo comportamento che si traduce in espressioni corporee grazie alla nostra meccanica articolare messa in movimento dal muscolo. Il corpo è anche forgiato, formato e a volte deformato ciò che certamente ha ripercussioni a sua volta sul nostro psiche.

Il dolore è un fenomeno complesso

Questo dolore non fa sempre intervenire degli elementi così evidenti come un’ernia discale che comprime una radice nervosa. Il muscolo da solo (e spesso questo è sottostimato dal corpo medico) può quando è contratto determinare dei dolori che simulano perfettamente la compressione radicolare e questo stesso muscolo contratto può certamente favorire delle iperpressioni discali che favoriscono l’emergenza di un’ernia discale e di una vera patologia radicolare.

La nostra psiche è governata da dei fattori innati o acquisiti in particolare i traumi inevitabili dell’infanzia spesso incoscienti: questi ci creano degli schemi di funzionamento che con l’intermediazione del sistema nervoso vanno a determinare dei funzionamenti troppo rigidi del nostro sistema muscolare perchè troppo ripetitivi. Queste rigidità muscolari vanno a loro volta ad essere all’origine di dolori corporei in effetti reali anche se possono essere stati favoriti dalla nostra psiche personale.

Il paziente è dunque un tutto: il sintomo esprime forse il riflesso di un malessere più globale e profondo. La nascita di questo malessere spesso profondo del paziente necessita secondo me un lavoro di equipe multidisciplinare: ogni terapeuta, con le sue tecniche particolari va a potenziare il lavoro di altri terapeuti e la maturazione dei problemi profondi del paziente: perché la memoria corporea si situa a tutti i livelli: fisico emozionale, psicologico…

La presa in carico proposta nel servizio che ho creato da sette anni integra:

- dei fisioterapisti formati a delle tecniche globali dove le catene muscolari hanno un ruolo primario;

- un lavoro con uno psicoterapeuta che lavora principalmente sui differenti fattori di stress della vita quotidiana: questo lavoro è il punto di partenza di una riflessione più personalizzata per ciascuno attraverso sedute di gruppo o sedute individuali;

- delle sedute di sofrologia dove il paziente scopre il beneficio di rilassarsi, di sentire il suo corpo particolarmente con delle tecniche di respirazione;

- dopo un po’ un arteterapeuta integra l’equipe al fine di aiutare i pazienti a trovare delle attività ludiche e creative: lo scopo è di contribuire a degli schemi di funzionamento positivo per il paziente, dei progetti di vita in quei pazienti dove l’orizzonte è spesso sentito come senza speranza e senza progetti;

- certamente i trattamenti classici medici e a volte chirurgici quando sono necessari.

Al di là di queste differenti tecniche vorrei sottolineare l’importanza dell’approccio umano e umanista dove la relazione diretta tra due persone, una che cura e l’altra che è curata, è di fatto essenziale. A questo titolo il coinvolgimento del terapeuta è indispensabile, deve essersi adattato realmente alle tecniche che raccomanda: un terapeuta teso non può che avere pazienti tesi, uno psicologo che sta male nella sua pelle non può certo aiutare un lombalgico che ne ha le tasche piene….

Se si è a proprio agio nella propria pelle i pazienti lo sentono e possono sentire come possibile la terapia proposta.

La tecnica dunque deve essere perfettamente padroneggiata dal terapista ma deve dare al paziente l’impressione del possibile e non della perfetta maestria ma essere inaccessibile per un semplice mortale. La tecnica deve dunque passare in secondo piano per favorire l’ascolto del paziente, lo sviluppo di una reale comunicazione attraverso un’umiltà reale molto differente da una presa di potere che non valorizza che il terapeuta.

Bisogna sapere progressivamente ricercare grazie a questa presa di fiducia i fattori che nel bambino diventato adulto hanno favorito l’emergere di questi blocchi: la personalità è una sorta di torre di Pisa che pende con un angolo proporzionale al sentimento di amore iniziale che è potuto mancare nell’infanzia (violenze fisiche, psicologiche, insuccessi a scuola o professionali, decessi, perturbazioni familiari…

Le possibilità di compenso spontaneo del paziente sono multiple: attratto dall’avere, dal sembrare, dal consumo sfrenato, dai soldi, dal lavoro, attivismo o iperattivismo, amore e esperienze positive più o meno multiple, un lavoro più personale di analisi, di sostegno psicologico e impegno spirituale.

In pratica bisogna pazientemente creare una relazione di fiducia con il paziente che porta progressivamente a capire che il passato non è passato: condiziona il nostro modo di reagire al presente.

Questo atteggiamento permette di accettare di lasciare uscire le sofferenze prima mentali con il lavoro dello psicoterapeuta ma anche corporee perché il corpo ha anche una memoria e delle rigidità multiple.

Il lavoro del sofrologo sembra ugualmente un legame determinante tra lo psicoterapeuta e il lavoro corporeo.

A questo titolo la respirazione gioca un ruolo essenziale: insegniamo al paziente a sviluppare la respirazione addominale inferiore che è un elemento essenziale per lasciare progressivamente le tensioni sia psicologiche che emozionali e corporee in particolare toraciche superiori; è il tipo di respirazione che usiamo nel ridere e non si dice che il ridere è terapeutico?

Questa tecnica di respirazione addominale inferiore s’inspira a delle pratiche di arti marziali dove è ben conosciuta; io devo questo apprendimento al nostro caro Hung che come sappiamo è un maestro di Trang Si Dao.

È difficile capire l’importanza dell’acquisizione di questa respirazione addominale mentre non la si pratica: non si tratta di un processo di comprensione intellettuale solo la pratica personale permette di integrarne i benefici. Questa respirazione permette di lavorare e sviluppare la dolcezza, la tranquillità, la fiducia in sé stessi.

Si può allora incitare il paziente a mettersi sullo stesso cammino di pratica, per me essenziale, verso una più grande dolcezza, faccia a faccia con se stessi.

Sul piano corporeo questa respirazione permette di distendere il cingolo scapolare e il rachide dorsale spesso così tesi e rigidi per molte ragioni: questa regione è uno dei punti di focalizzazione di tutte le nostre paure e testimonia il riflesso arcaico di ritirare la testa tra le spalle in caso di aggressione e fissare il torace contraendo i muscoli dell’addome.

La liberazione delle tensioni scapolari permette dunque di curare le contratture di compenso della regione lombare che favoriscono l’emergenza di patologie di tipo di ernia discale, stenosi, lombalgie comuni…

Il tronco è simile ad un ombrello con il manico che rappresenta la colonna vertebrale, le stecche che rappresentano le coste e la cintura scapolare.

È facile comprendere che mentre l’ombrello è aperto ci vuole molta forza per tenere il manico dell’ombrello soprattutto se c’è vento.

Invece mentre l’ombrello è chiuso le costrizioni che si esercitano sull’ombrello diminuiscono molto ed è più facile tenere l’ombrello.

Il bacino e il rachide lombare rappresentano questa mano che tiene il resto della colonna vertebrale e del tronco spesso aperto in permanenza mentre è presente una costrizione dei muscoli della cintura scapolare.

La respirazione addominale contribuisce in modo automatico a diminuire progressivamente queste costrizioni toraciche favorendo una respirazione molto più libera, addominale inferiore, che è del resto quella che usa il neonato prima di lasciarsi contaminare dagli adulti stressati che lo circondano.

Gli ostacoli a questa presa di coscienza sono dei criteri spesso di moda e di cultura come la tonificazione degli addominali, l’immagine dello sportivo dalle larghe spalle e la taglia fine, la muscolazione del body building.

L’acquisizione progressiva di questa coscienza corporea globale integrata sia a livello somatico psicologica ed energetica mi ha permesso progressivamente di sviluppare ugualmente questi concetti per la chirurgia rachidea.

Le osteosintesi utilizzate in modo classico in chirurgia rachidea favorizzano i materiali estremamente rigidi e voluminosi. Impediscono la ripartizione armoniosa dei vincoli lungo la colonna vertebrale.

È fondamentale evolversi verso materiali di osteosintesi le cui proprietà sono molto più vicine a quelle dell’osso corticale normale, limitando gli eccessi delle costrizioni sia della zona operata che dall’altra parte.

Senza entrare in dettagli troppo tecnici è molto più adattabile per il paziente evolversi verso materiali come i composti del carbone a fibre lunghe anche se per ora l’arretramento è insufficiente per affermare con certezza quello che il mio corpo ha risentito prima di applicarlo ai miei pazienti.

Lo scopo di questa strumentazione è come ha detto il famoso architetto spagnolo Anthoni Gaudi di copiare la natura che è quella che ha sviluppato il metodo più razionale ed economico.

Il nostro rachide è una struttura altamente complessa ma flessibile.

È importante che il materiale impiegato possa riprodurre l’architettura ossea e muscolare della nostra colonna.

Questi sono dunque gli obiettivi che seguo perché il materiale possa adattarsi a ogni individuo, ogni struttura non solamente psicologica ma anche comportamentale ovviamente variabile in funzione di ogni paziente.

In questa ottica chirurgica la presa in carico globale già descritta è fondamentale per preparare il paziente alla chirurgia e accompagnarlo nel periodo postoperatorio.

Vorrei finire questa relazioni citando degli estratti dei pazienti che hanno testimoniato del loro soggiorno nella clinica:

Arrivato nella vostra clinica senza convinzione né motivazione a parte la voglia di curare i miei dolori fisici, senza prendere coscienza che la mia sofferenza potesse venire da un problema affettivo profondo che vivevo in me dopo numerosi anni. Ho messo delle parole su questa sofferenza che posso oggi scrivere. Quella facilità di dire che tutto va ben mentre attraversavo ogni giorno dei momenti di dubbio, di disgusto e di depressione. Non avevo più coscienza che potevo vivere serenamente accecato dalla mia sofferenza. Ho scoperto che potevo autorizzarmi a prendermi cura di me senza colpevolizzarmi, potevo trovarmi delle attività come il tai-chi e il teatro, due attività che penso, mi aiutano a curarmi. Ma mi sento ancora fragile niente è vinto e mi devo occupare di me e prendermi il tempo che mi serve per ricostruirmi. Penso di essere sulla buona strada anche se il lavoro è ancora lungo.

Un’altra testimonianza:

Tristezza: noi gli uomini che si nascondono per piangere, per salvare le apparenze, si sorride a costo di soffrire a volte tutta una vita. Il peggior difetto che si ha è l’orgoglio, da che si è tristi bisogna restare soli per pudore, per fierezza non si osa mostrarsi per quello che si è e avere male per sempre.

O ancora:

Il medico mi ha messo nelle mani molto specifiche dei fisioterapisti: posizioni comportamentali da adottare, lavorare quotidianamente sulle articolazioni acquisire una migliore flessibilità dello scheletro, allenarsi con esercizi adattati per meglio rispettare il proprio corpo. Il sofrologo ci aiuta a levare le tensioni che imprigionano il nostro corpo che permette di accedere ad una pace e una serenità interiore, respirare meglio e imparare a rilassarsi.

Le sedute della gestione dello stress, qui e nella vita quotidiana, meditazione, gruppi di parole e scambi ci incamminano verso un benessere. Io sono ripartito con tutti gli strumenti necessari per continuare a praticare questi esercizi quotidiani a domicilio. Il beneficio di questo soggiorno non resta efficace a lungo termine però se non si è regolari e rigorosi nella pratica.

Un altro paziente:

Grazie per l’aiuto, il vostro ascolto, i vostri aneddoti, il savoir-faire e sicuramente l’operazione riuscita. È un momento che mi ha fatto varcare una soglia: esistono ancora dei posti dove non si giudica, si ascolta e si consiglia. Vi mettete all’altezza dei vostri pazienti, non siete il dottore che fa il giro dicendo “va bene, tecnicamente tutto bene”.

Ultima testimonianza:

Tutto quello che ho imparato nel mio soggiorno mi aiuterà a fronteggiare i miei demoni e a ritrovare una pace interiore a cui aspiro da diversi anni. Grazie ai diversi esercizi ho imparato a sentire delle cose che avevo perso. Arrivo a respirare meglio, che non sapevo più fare, ho l’impressione di aver ritrovato una libertà nella quale mi ero imprigionato essendo vittima del mio corpo, prigioniero del mio corpo e del mio spirito. Tutta questa presa di coscienza è il frutto del mio lavoro ma anche e soprattutto di un aiuto che mi è stato prezioso.

In conclusione

Questa forma di presa in carico pluridisciplinare e umanista dei pazienti teme in modo meno squalificante l’approccio psicologico per il paziente. Lo sguardo che gli è dato, lo sguardo dell’entourage è quello di un paziente, di un malato, il luogo è una clinica, un servizio medico, allora funziona.

È indispensabile creare una rete di terapeuti che in città propongono lo scambio al paziente venuto al suo domicilio. Si tratta di un lavoro di ampio respiro dove l’autonomia del paziente non può essere che progressiva.

Questa relazione può sembrare molto psicologica e poco fisioterapica o chirurgica. Nella realtà la maggior parte del tempo passato nel servizio per un paziente è per la fisioterapia di cui conoscete i principi meglio di me. Mi è sembrato interessante mettere l’accento su dei temi che per voi forse sono meno familiari e su cui siete magari un po’ reticenti come io ero all’inizio della mia pratica professionale. Sarò dunque estremamente felice di rispondere alle vostre domande.

Autore: Paul Fayada, chirurgo ortopedico, Policlinico di Saint Pol-sur-Ternoise

Fonte: www.ictgds.org

Traduzione a cura di Stefania Moneta

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Stefania Moneta
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