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Un incontro di Natale a New York Laboratorio di scrittura Creativa

- III D - 2019/20

Scuola secondaria di primo grado ‘Massimo Stanzione’ Orta di Atella (ce)

Pochi giorni prima di Natale...

Abitavo in un quartiere malfamato di New York e andavo spesso in un bar, piccolo ma accogliente e che ospitava molte persone nei giorni festivi. I dipendenti erano gentili e io, quando ero lì, mi sentivo a casa. Quella mattina, come mio solito, ero seduto al tavolo 12 che dava sulla strada ed ero con la testa tra le nuvole. Ero anche senza cellulare, lo avevo probabilmente perso il giorno prima proprio in quel bar, ma non mi interessava tanto, non è che avessi molti amici con cui scrivermi.

Come vi dicevo, ero con la testa tra le nuvole quando mi si avvicinò un ragazzo che mi disse che aveva trovato il mio cellulare nella spazzatura nei pressi del bar. Disse che stava camminando e che aveva sentito arrivare dal cassonetto squilli di cellulare. Si era quindi avvicinato, aveva aperto la busta da cui proveniva il suono e aveva preso il telefono. Aveva deciso quindi di entrare nel bar e il cameriere gli disse che ero proprio io, quello seduto al tavolo 12, ad aver perso il cellulare il giorno prima. E quindi eccolo lì, di fronte a me che mi porgeva il mio telefono. Io non sapevo come ringraziare quel ragazzo, pensavo che al mondo di oggi non esistessero più persone gentili, invece, anche in un quartiere malfamato, era possibile trovare persone altruiste e per bene. Con questo incontro in me si scatenò qualcosa che non avevo mai provato: per la prima volta non mi sentivo solo.

Ora probabilmente vi starete chiedendo perché.
Io nella mia vita mi ero sempre sentito fuori posto, sempre nel luogo e nel momento sbagliato, invece proprio in quel bar avevo trovato non solo la gentilezza dei camerieri, ma anche un amico (oltre che il telefono!)

Mi ero sempre sentito solo e il motivo era la mia famiglia, non avevo mai avuto nessuno che mi avesse sostenuto davvero. Per ringraziare il mio ‘forse’ nuovo amico del gesto compiuto e per avviare un dialogo con lui, gli offrii da bere un succo di arancia e mi presentai.

Lui si sedette e quasi subito mi raccontò di sé.

Mi disse che era una persona sola. Aveva perso i genitori quando aveva 12 anni e non aveva fratelli o sorelle. Io a quelle parole rimasi sconvolto, quanto era simile a me quello sconosciuto, e fu forse per questa somiglianza che sentii dentro di me il desiderio di raccontare in quel solito bar, a quel solito tavolo 12 di fronte a quella solita strada della solita New York e qualche giorno prima del solito Natale che come al solito avrei passato da solo, la mia vita.

E così cominciai a parlare.

Mio padre era un medico e voleva che anche io studiassi medicina, ma io proprio non volevo, io desideravo diventare un musicista, un violinista. Mio padre non condivideva i miei sogni e piano piano mi allontanò. Mia madre, invece, l’unica che c’era sempre per me, era volata via quando io ero ancora piccolo per capire, ma abbastanza grande per sentire tutta la sofferenza e il dolore della sua assenza. E poi spontaneamente decisi di raccontargli tutto quello che non avevo mai avuto il coraggio di dire a nessuno!

gli dissi che mio padre mi aveva allontanato non solo perché i miei sogni erano diversi dai suoi progetti ma anche per un altro motivo: perché io ero ‘diverso’ da lui…
Come continuerà questa storia?

Ogni voce ha la sua storia... quindi ognuno ha immaginato il suo finale!

Il finale di Denise Romano

Ero diverso da lui perché a me non piaceva lavorare e fare soldi. Lui ribadiva il fatto che oramai fossi un uomo e che un giorno avrei dovuto crescere una famiglia. A me piaceva suonare ed era, e lo è, la cosa più importante per me. Volevo soltanto seguire il mio sogno. A lui piaceva la musica ma non trovava dignitoso per suo figlio il lavoro di musicista, siccome tutti i figli dei suoi colleghi facevano lavori come il medico, lo psicologo, il chirurgo, l'avvocato e tanti altri. Ma per me contava di più seguire la mia passione. Così per un po' i nostri rapporti andarono perduti. Inoltre dissi a quel ragazzo che la mia vita non aveva più un senso e lui mi si rivolse con gentilezza e mi disse che ci sarebbe stato lui con me e che saremmo diventati amici. E così fu.

Iniziammo a frequentarci e ad addobbare la mia casa, cosa che non avevo mai fatto da quando ero andato ad abitare solo. Andammo al cinema e gli feci ascoltare qualcosa col violino.

Per la prima volta mi ero sentito vivo e non più solo,

finalmente avevo trovato qualcuno con cui condividere i miei pensieri e le mie frustrazioni. Mi sembrava di conoscerlo da sempre e cominciai a volergli un gran bene, quello che non provavo da quando mi ero allontanato da mio padre.

Arrivò la vigilia di Natale e io mi stavo preparando per una esibizione. Avevo paura, ma allo stesso tempo ero emozionato e pensai al volto di mio padre e a quanto mi mancasse.

Salii sul palco, feci un gran respiro e dedicai il mio concerto ai miei genitori, anche se, forse, chi lo sa, ad ascoltarmi poteva esserci solo mia madre che mi guardava da lassù.

Voi adesso non sapete chi io vidi tra il pubblico quella sera, alle 21:00 del 24 dicembre.

Lì seduto di fianco a quello che era diventato da quell'incontro il migliore amico, c'era mio PADRE.

Rimasi sbalordito e quando finii lo spettacolo, uscii fuori per cercarlo. Mio padre mi guardò e i suoi occhi brillavano di emozione. Scoppiai a piangere e lui mi abbracciò così forte che il suo calore mi entrò in corpo fino al cuore. Mi chiese scusa, ma io lo avevo perdonato già nel momento in cui lo vidi seduto a guardarmi.

Quella notte di Natale, oltre ad aver trovato un amico, avevo trovato di nuovo mio padre!

The End

Il finale di Vincenzo Di Pietro

...ero omosessuale e mio padre non lo accettava.

Parlando di tale situazione, il ragazzo si commosse e mi strinse la mano, e proprio in quell'istante sentii un'emozione mai provata fin ad allora. Pensai che in quel giorno non solo avevo trovato una persona altruista, ma anche qualcuno pronto ad ascoltarmi. Tutto mi apparve come nuovo, poiché non avevo mai saputo cosa significasse avere un amico. A quel punto abbassò lo sguardo e mi chiese: "Cosa fai per Natale?". Io non ne avevo la minima idea, non festeggiavo il Natale da troppo tempo, per me era un giorno qualsiasi. Così risposi: "Perché cosa si dovrebbe fare a Natale?" E lui: "Vieni con me, rendiamo questo Natale bellissimo."

Arrivò il giorno della vigilia, le strade erano addobbate di luci, c'era la gente che passeggiava con i cappelli di Babbo Natale, e tante canzoni che echeggiavano nell'aria.

Tutto era magnifico e io non potevo credere al fatto che potessi passare il Natale con un amico conosciuto al bar. Che strano! Io e il mio 'forse' nuovo amico ci incontrammo la mattina e lui mi disse: "Lo sai che non è Natale se non si fa l albero?" Io lo sapevo, ma ormai avevo dimenticato come si montasse.

Entrammo in un negozio e io rimasi incantato da tutte quelle splendide luci che c'erano. Prendemmo tanti piccoli rami verdi. In un primo momento non capii. A cosa potevano mai servire dei rami?

Poi andammo nel suo giardino e lì iniziammo a mettere insieme quei tanti rami verdi, fino a comporre un piccolo albero che poi portammo a casa mia. Una volta a casa, completammo l'opera aggiungendo varie luci.Fu così bello costruire un albero di Natale che non potei non ringraziare il mio amico per quel regalo.:

Lui disse:

"Non devi ringraziarmi, abbiamo anche noi il diritto di festeggiare il Natale, noi non siamo diversi da nessuno."

In quel magico Natale capii che la vita non è fatta solo di momenti brutti e tristi, a volte basta semplicemente incontrare la persona giusta, e io avevo trovato finalmente l'amicizia, che rende i giorni tristi, giorni meravigliosi

The End

Il finale di Federica Esposito

Ero sempre stato, sin da piccolo, una persona chiusa, sempre sulle sue, che non si immischiava nei discorsi se prima non veniva interpellato, che non amava fare nuove esperienze per paura e che ogni volta che ci provava, falliva. Dopo il fallimento, non c'era solamente il dolore, non c'era solamente la delusione, c'erano anche le offese continue di mio padre e le sue continue frasi e discorsi di scoraggiamento..

“Sei inutile, nella vita non diventerai nessuno, sei un fallimento”

E io iniziai a vedermi davvero così, iniziai a pensare che mio padre forse aveva ragione, che in questo mondo una persona come me non poteva essere utile nella e per la società.

Mentre raccontavo la storia della mia vita a quel ragazzo, cercavo di non incontrare mai il suo sguardo, quindi preferii tenerlo verso terra cercando di non piangere come un bambino come ogni volta che parlavo di me. Cominciarono a cadermi sul viso tutte le lacrime per tanti anni trattenute, ma lui mi afferrò la mano, generando in me quel senso di calore che provavo solamente quando teneramente mia madre mi coccolava. Per un momento, sembrava che mia madre fosse proprio lì, davanti a me, che mi tenesse la mano e mi asciugasse le lacrime che continuavano a scendere ininterrottamente sul mio viso.

Iniziò poi a parlarmi di un amore grande e misericordioso, l'amore di Dio, proprio a me, che di Dio, non ne sapevo niente e nemmeno ci avevo mai creduto. Un raggio di Sole illuminò i nostri visi e un mondo nuovo davanti ai miei occhi si aprí.

Ero al solito bar, al solito tavolo 12 che affacciava sulla solita strada di New York, ma quel mondo apparve a un certo punto nuovo e bello ai miei occhi.

Da quel giorno, io e quel ragazzo, creatore del mio nuovo mondo, iniziammo a frequentarci e la mia fede in Dio mi cambiò. Passai un Natale diverso, in compagnia e pieno di misericordia.

The End

Il finale di Gennaro Flaminio

Gli dissi che ero omosessuale e che mio padre, purtroppo, era omofobo. Non era una storia molto felice, ma era la mia storia. Lui non parlò.

Ci furono 2 o 3 minuti di silenzio.

La prima cosa che mi chiese fu se il mio sogno di diventare un violinista si fosse realizzato. Io gli risposi di no. Non avevo un lavoro e a malapena riuscivo a mantenermi con l'affitto e tutto quello che serve per vivere, figuriamoci se riuscivo a pagarmi un'accademia.

Passammo la giornata a parlare delle nostre vite e il tempo passò in fretta, talmente tanto in fretta che si fece notte.

Lo salutai e gli chiesi se il giorno dopo aveva tempo per stare ancora con me. Lui rispose di sì. In quei giorni di Natale, per me accadde un incontro magico:

tornai a casa con un amico in più e il mio telefono...

Sono ormai passati cinque anni da allora e noi ancora ci incontriamo al solito bar.

Quel mio amico era un imprenditore e in quei giorni mi propose un lavoro nella sua azienda. Io accettai e così riuscii finalmente a pagarmi gli studi per il violino. Ora sì che posso dire di aver realizzato il mio sogno:

sono un musicista e ho un amico. (E il mio telefono è ancora quello...)

The End

Created By
cinzia sorvillo
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Credits:

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