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Pensare e capire la città da «La Rinascita delle Torri»

Petroselli governò solo 24 mesi, in quel periodo relativamente breve mutò, tuttavia, le basi fondamentali dell’economia romana e per via politica costruì il suo rapporto con la Capitale, senza l’investitura diretta dei cittadini, mentre la stagione dei sindaci odierni, viceversa si è da tempo esaurita con una serie di “primi cittadini” in ansia quotidiana per i sondaggi e per le pressioni dei gruppi di poteri dominanti del momento. Il “primo cittadino” adesso è solo impegnato a raccontare se stesso, riducendo le varie possibilità di governo del territorio, privilegiando interventi di breve durata ma di forte impatto mediatico. Il qui e subito è una costante irrinunciabile per chi vive l’effimero presente sondaggistico. Petroselli, al contrario, introduceva una relazione diretta con i cittadini per affermare una responsabilità di mandato sul programma, pur rimanendo sempre il capo di una parte, consapevole che era espressione di un tendenza storica di riscatto della città, ovvero di un più vasto movimento storico di emancipazione dei lavoratori e della periferia. Nell’era del coronavirus, con i mercati mondiali fermi e i magazzini stracolmi di merce che nessuno può comprare, o si riparte dal territorio e da necessari investimenti pubblici, oppure non si riparte prima del 2030. Petroselli rimane ancora oggi una bussola da seguire per capire le sfide della contemporaneità.

La città è sempre più in mano a pianificatori funzionali che devono risolvere il problema immediato – ad esempio – dei rifiuti. Non vedono il rifiuto come un’idea- risorsa, sono privi dell’idea della città come spazio condiviso, dove si creano insieme soluzioni condivise ai problemi così come si creano i significati, quelli che danno senso alla vita urbana. Si continua ad espropriare la capacità umana del dare significati al mondo urbano circostante, mentre una visione di futuro richiede la capacità di operare scelte, individuare obiettivi e finalità attraverso un cammino aggregante delle risorse popolari della città.

Per chi scrive, la scelta di campo è partire dalle periferie e non invadere le periferie; riconoscere e favorire partecipazione e sovranità dei lavoratori e dei cittadini senza potere. Non si può continuare a dare pacche sulle spalle alle periferie e andare a cena con le due rive del Tevere: tra la spiaggia del potere religioso e le sponde dei poteri bancari-immobiliari, nonché finanziari, delle élites locali e transnazionali.

La recente cronaca romana ci dice che questo è stato il limite e la tragedia di tutti i governi cittadini degli ultimi decenni.

Dobbiamo riprenderci riprendere in mato la vita della nostra città, cioè a dire fare in modo di difendere e lottare per estendere (e non tagliare) i “diritti urbani” al fine di riconoscere a tutti i quartieri e a tutti i suoi abitanti una quantità minima di servizi e opportunità. Uguale per tutti. “Perchè la città che esclude è una città infelice e cupa per tutti”

Spesso ripetiamo uno slogan: così è stato, così è, così non sarà in eterno. Si tratta di un modesto ma irrinunciabile tentativo di svegliare e destare le coscienze e le aspirazioni di tutti. Da romani e abitanti della periferia, ci sentiamo in diritto di dover reagire di fronte all’andazzo generale e dominante del tutto. Da borgatari che hanno vissuto la stagione di riscatto dell’era Petroselli e del suo “sogno interrotto”, sentiamo che quel testamento aggiornato ai tempi odierni deve essere riscoperto. Per pensare e agire nei nostri giorni, per vedere e non solo registrare la decadenza di una città e della sua periferia: per svelare l’infinità dei bisogni lavorativi non promossi dalla pubblica amministrazione, per rompere le catene della sudditanza al “libero mercato” e sue declinazioni.

Manifestazione antifascista a Torre Maura. Foto di Andrea Guerrizio ©

Conoscenza-autorità-potere demoliscono giorno dopo giorno i luoghi classici del lavoro come la fabbrica o l’ufficio e incombono sulla nostra vita quotidiana. Percorsi, processi, merci vengono rimodulati dall’informazione e la concentrazione del sapere in pochi mani, così come delle sue tecniche attuative, determinano l’ordinamento della società attuale. Il digitale e i suoi algoritmi hanno trasformato i luoghi del lavoro: questo è un dato di fatto incontrovertibile. Tutti i giorni siamo più esposti all’acquisto di beni o merci che non sapevamo neanche di volere grazie al fatto che applicazioni e algoritmi ben strutturati studiano i nostri desideri sulla base dell’acquisto avvenuto in un singolo caso per proporci tutti altri prodotti che potrebbero interessarci. Il consumatore non è più utente bensì consumatore elevato al quadrato e anche prodotto del suo stesso consumo.

Questo contesto e questo domìnio dei pochi sulle vite degli esseri umani si realizza attraverso una divisione del lavoro e del sapere senza precedenti nella storia umana.

Questo modello rende apparentemente impossibile il conflitto stesso negando il diritto di combattere agli individui e alle rivendicazioni, alle lotte, collettive. Serve uno scatto di reni: il diritto a contestare un potere illegittimo non si può rinchiudere in eterno, come il vento non può essere raccolto tutto dentro una scatola di plastica. L’attuale dittatura del capitale tecnologico e scientifico non può alla lunga cancellare il conflitto capitale-lavoro e mantenere la sua antitesi. Vale a dire, per costoro: le lavoratrici e i lavoratori del nostro tempo, figli della rivoluzione digitale e scientifica, non devono organizzarsi come soggetto libero e autonomo.

Questo è il loro incubo più grande, questo è il loro punto debole.

Created By
Marco Piccinelli
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