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chiesa silenziosa e spoglia Domenica 7 marzo

La Chiesa silenziosa e spoglia ci aiuta a porre attenzione solo alle cose essenziali e importanti, per non correre il rischio di riempire la nostra vita di cose superflue. Posso rinunciare a tanto, per fare spazio a ciò che è importante.

Il silenzio forse è la cosa più insostenibile, più del digiuno. Quella che fa più paura. Abbiamo cercato di romperlo con ogni mezzo e, nell'ultimo secolo, ci siamo riusciti talmente bene che oggi viviamo nel rumore continuo. È una delle forme dell'inquinamento ambientale.

La pandemia però ci ha offerto anche questa opportunità, di trasformare per un breve periodo le nostre città in oasi di silenzio. La primavera scorsa, in pieno centro a Trento, a sera, sembrava quasi di essere in montagna, e nel silenzio è risuonato per più giorni il verso del cuculo. Chissà, magari c'era anche negli anni passati, ma il rumore era talmente pervasivo e forte da nasconderlo. Come accade alle stelle in cielo. Ci sono ma l'illuminazione artificiale dei nostri abitati le occulta.

In ogni caso il silenzio è necessario. Mette a tacere i vaneggiamenti e gli strilli dell'io che con lo strepito vuole coprire il nulla, o mascherare la propria arroganza, e permette invece alla voce di sapienza di levarsi e ricreare.

È questo il silenzio che veniamo invitati a cercare, quello in cui sostare in ascolto nella nostra camera: è la voce di silenzio leggero che sperimentò sull'Oreb il profeta Elìa.

Una vibrazione leggera come un respiro dentro cui, se siamo attenti, possiamo riconoscere la presenza di Dio. Lo riconosciamo se la vibrazione tocca il nostro cuore e lo muove, alla commozione oppure alla gioia, una gioia altrettanto lieve e impalpabile della vibrazione che l'ha suscitata. Ma rivelativa. Che per un attimo toglie il velo alle cose e ne mostra la natura profonda e poi le ricopre nuovamente.

In quell'attimo ci pone a contatto con l'essenza semplice e potente della creazione, con il suo cuore pulsante che già ci contiene e che basta a riempirci di senso, di bellezza, di gratitudine.

Dal Vangelo secondo Giovanni (2,13-25)

Non fate della casa mia un mercato

Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà.

Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull'uomo. Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo.

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