Le abitazioni romane RiCErca di francesco percuoco

Domus, la casa destinata ai patrizi

La tipica domus romana, La Domus Romana aveva caratteristiche particolari, come ad esempio finestre molto piccole per evitare che entrasse rumore esterno, ma anche per evitare l'incursione dei ladri. Per illuminare le stanze della domus era utilizzata la luce solare proveniente dal soffitto aperto (compluvium). Dal soffitto entrava anche l'acqua piovana che veniva raccolta in una cisterna nel centro dell'atrio (impluvium).La casa romana si sviluppava in orizzontale, con una struttura derivante dall’architettura ellenistica, ed era composta da diverse stanze: l'ingresso (vestibolo) e un corridoio lungo e stretto che conduceva direttamente all'atrio (atrium), la stanza centrale della casa. Dall'atrio si poteva accedere a tutte le altre stanze della casa. C’erano poi le camere da letto (cubicula), la sala banchetti (triclinium), dove gli antichi romani usavano bere e mangiare sdraiati sui letti, lo studio privato del capofamiglia (tablinum) e la sala dedicata ai servizi religiosi (larario). Il larario era una delle parti più importanti della casa perché i romani consideravano il focolare domestico come un vero luogo di culto dove pregare gli dèi.

Insula, la casa destinata al ceto medio

Alcuni romani abitavano in campagna, altri in città. Nelle città la gente abitava in edifici di quattro o cinque piani, chiamati "insulae" . Ogni famiglia aveva un appartamento detto "cenaculum". Le famiglie abbastanza benestanti si potevano permettere appartamenti con stanze lussuose, in genere ai piani inferiori dell'edificio, invece la gente povera si doveva accontentare di una sola stanza ai piani più alti. Il piano terra delle insulae era occupato dalle botteghe degli artigiani e dei commercianti che abitavano nel retro bottega. Sotto il tetto c'era il solaio, che a volte ospitava delle famiglie. La vita all'interno di questi caseggiati era molto disagevole: erano mal riscaldati d'inverno, erano poco illuminate e spesso mancava l'acqua. Strette le une alle altre, costruite in economia le insulae spesso venivano distrutte da crolli e incendi che si propagavano velocemente. Per non correre il rischio che interi quartieri venissero distrutti le insulae non avevano le cucine, quindi per mangiare un pasto caldo bisognava andare nelle locande. Di ben altro genere erano le abitazioni dei ricchi: la "domus" abitazione tipica delle famiglie abbienti, non superava i due piani, ma era molto estesa.

Villa

Il termine latino usato dagli antichi scrittori per designare i fabbricati costruiti al di fuori delle città era villa, una parola che pare individuare uno spettro semantico piuttosto ampio: per i Romani, infatti, erano villae sia le fattorie destinate alla sola produzione agricola, da esse denominate rusticae, sia le lussuose residenze pensate per il riposo ed il tempo libero, le cosiddette ville d'otium. Tra questi due estremi vi erano naturalmente soluzioni intermedie: esistevano infatti sia ville produttive adeguatamente attrezzate anche per il soggiorno temporaneo sia ville di lusso comprendenti settori ideati per colture talvolta a carattere fortemente specializzato. Con il progressivo diffondersi presso le classi dirigenti italico-romane di raffinate abitudini di vita di origine greco-orientale si sviluppò inoltre, già a partire dal II secolo a.C., la consuetudine di edificare nell'ambito stesso delle città o nelle loro immediate vicinanze prestigiose ville: queste ultime dette urbanae, erano per lo più circondate da vasti giardini e godevano di una privilegiata posizione panoramica. Nella villa rustica vi erano due corti (cortes), una interna, l'altra esterna, e in ciascuna una vasca (piscina); la vasca della corte interna serviva per abbeverare gli animali, l'altra, per alcune operazioni agricole come macerar cuoio, lupini, ecc. Attorno alla prima delle due corti sorgevano le costruzioni in muratura e formavano, tutte insieme, la villa rustica in senso più ristretto: cioè, la parte della fattoria dove abitavano i servi. Ne era il centro una spaziosa cucina (culina): giacché nella fattoria la cucina non è, come in città, la stanza in cui i cuochi attendono alla loro arte, ma luogo di riunoine e di lavoro. Vicino alla cucina, in modo da poter usufruire del suo calore, erano le stanze da bagno per i servi, la cantina, le stalle dei buoi (bulina) e dei cavalli (equilia); se vi era posto, anche il pollaio, ciò per la credenza che il fumo fosse salutare al pollame. Lontani dalla cucina e possibilmente rivolti verso nord erano, invece, quegli ambienti che, per la loro destinazione, richiedevano un luogo asciutto, come i granai (granaria), i seccatoi (horrea), le stanze in cui veniva conservata la frutta (oporothecae). I magazzini più esposti al pericolo dell'incendio potevano anche costituire un edificio (villa fructuaria) completamente separato dalla villa rustica. Adiacente alla villa rustica vi era l'aia; lì vicino sorgevano alcuni capannoni, come la rimessa dei carri agricoli (plaustra) o il nubiliarum, un luogo in cui riporre provvisoriamente il grano in caso di improvviso acquazzone. E' incerto dove abitassero i servi: sappiamo, però, che vi erano le stanze da letto (cellae familiares), l'ergastulum, una specie di prigione in cui gli schiavi che scontavano una mancanza attendevano ai lavori più duri, e il valetudinarium per gli schiavi ammalati. Mancando la villa urbana, le stanze migliori venivano riservate al padrone.

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