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New Orloeans - Natchez giovedì 13 settembre

Oggi lasceremo New Orleans, visiteremo due piantagioni e poi cominceremo a risalire il Mississippi per terminare a Natchez. Comincia qui il nostro viaggio lungo la Blues Highway, la US-61.

In fase di programmazione, la mia idea era di tirare fino a Vicksburg, e poi andare il giorno dopo a Memphis. Poi, però, il delta del Mississippi sembrava sempre più interessante man mano che lo studiavo, e quindi ho voluto dedicare più tempo a questa zona così sconosciuta ma particolare.

Ieri sera ho utilizzato parte del buono del tour del bayou per acquistare l'ingresso alla piantagione St Joseph. Solo che mi stanno facendo impazzire, il coupon non mi risulta attivato. Provo anche a cancellare il voucher e riattivarlo, ma non riesco proprio a farmi arrivare la mail di conferma. Non possiamo perdere troppo tempo, però, così cominciamo ad avviarci, e mi collego ogni tanto in roaming per vedere se mi arriva la conferma.

Usciamo da New Orleans, fila tutto liscio e c'è anche il sole. Il navigatore prevede l'arrivo verso le 9.45. Ad un certo punto, sulla I-10, in mezzo al bayou, ci blocchiamo. Fermi. Immobili. Entrambe le corsie sono completamente intasate. Ovviamente non possiamo andare da nessuna parte. Pare esserci un incidente qualche km più avanti. Rassegnati, aspettiamo, mentre Google Maps ci informa che l'arrivo alla St Joseph è previsto alle 10.20. Se non altro, ricontrollando la mail, vedo che finalmente mi hanno accettato il voucher per la piantagione. Dovremo però fare il tour delle 11 anziché quello delle 10, come speravo.

Superato l'incidente, attraversiamo il Mississippi al Veterans Memorial Bridge, e siamo nella zona delle piantagioni. Le piantagioni sono tutte vicine, una accanto all'altra, lungo quella che è conosciuta come Plantation Road. Andiamo a vedere, solo da fuori, la Evergreen, la Whitney e la Laura.

Le piantagioni del sud della Louisiana sono tutte di canna da zucchero. Per le classiche piantagioni di cotone, bisogna andare nel Mississippi, in Georgia, Alabama o Kentucky, qui fa troppo caldo per il cotone.

Le piantagioni visitabili sono circa una dozzina. Sono tutte simili, ma ognuna ha le delle particolarità: per esempio, la Whitney è l'unica ad avere un vero museo sulla schiavitù. La St Joseph è quella con il maggior numero di arredi originali, e così via. Visitate i siti delle varie piantagioni per farvi un'idea. Io consiglio di visitarne almeno due.

Arriviamo alla St Joseph Plantation verso le 10.45, il tempo di fare qualche foto e alle 11, puntuale, inizia la visita guidata della casa, mentre l'esterno è visitabile liberamente.

L'interno è molto spartano, per una piantagione, non ci sono arredi di lusso. Se non altro, l'arredamente è in gran parte originale e non ricostruito. Questa piantagione è ancora di proprietà della famiglia che l'ha acquistata dopo la guerra civile, ed è ancora attiva nella coltivazione della canna da zucchero. La famiglia ci tiene molto a precisare che la proprietà è stata acquistata dopo la fine della schiavitù, loro non sono quindi mai stati possessori di schiavi.

La proprietà è una famiglia creola cattolica, infatti molte esposizioni e cimeli sono incentrati sull'aspetto religioso, in particolare c'è una stanza dedicata al lutto, che ci ha colpiti molto. le donne dovevano osservare un periodo di lutto di almeno sei mesi, o più lungo in base alla prossimità del famigliare defunto. Con famiglie numerose, le donne passavano anche anni interi vestite a lutto.

Pur non essendo particolarmente lussuosa o spettacolare, la St Joseph ci piace molto, perché il tour è più intimo, e non c'è folla.

La piantagione affaccia su un bel parco molto curato, direttamente sul Mississippi. Oggi il fiume non si vede perché l'argine è stato ricostruito molto più alto. Ma una volta, quando l'argine era più basso, dalla terrazza al primo piano si vedeva il grande fiume. La cucina è all'esterno, come era usanza. Il quartiere degli schiavi, con le baracche dove vivevano, si trova invece ai margini della proprietà.

Prima di partire, mi ero documentata un po' sull'argomento schiavutù. "La capanna dello Zio Tom", un grande classico, è perfetto per farsi un'idea. I personaggi sono romanzati, ma verosimili. Gli schiavi erano a tutti gli effetti degli oggetti, e il padrone aveva pieno potere su di loro, parliamo di potere di vita o di morte. Quando un padrone moriva, l'intera proprietà, schiavi inclusi, andava all'asta.

A questo proposito, tra gli oggetti esposti c'è l'inventario delle proprietà della casa. Tra queste sono elencati anche gli schiavi, in base al loro valore commerciale, dato da età, stato di salute, sesso, aspetto fisico. Per esempio, gli "schiavi da casa" dovevano essere di bell'aspetto, senza cicatrici o altri segni. La cosa peggiore che poteva capitare ad uno schiavo da casa era essere marchiato o sfregiato (soprattutto le donne), perché a quel punto venivano passati alla bassa manovalanza, il che spesso equivaleva ad una condanna a morte.

I proprietari terrieri erano spesso parenti, e le piantagioni erano attigue, pertanto anche gli schiavi si conoscevano tra di loro. Capitava anche che si sposassero (illegalmente) tra schiavi di due piantagioni diverse.

Lasciata la St Joseph, arriviamo alla Oak Alley Plantation poco prima delle 12.30, il cielo si è annuvolato pesantemente e sembra che stia per arrivare un temporale. Facciamo in tempo a pranzare nella comoda area picnic, anche se si alza un vento molto forte.

La prima visita utile della Big House, la casa padronale, è alle 13. Appena entriamo nella casa, comincia l'acquazzone.

Il tour della Oak Alley è molto diverso dalla St Joseph. Siamo tantissimi, e non si possono fare foto. La casa è ovviamente stupenda, non sono sicura che il mobilio e le suppellettili siano originali, perché la piantagione è andata in rovina in seguito alla guerra civile, e tutto il contenuto è andato all'asta. Insomma, l'ho trovata un po' troppo affollata e artefatta.

Quello che mi è piaciuto, invece, è che la guida si è soffermata molto sul tema schiavitù. Mi ha colpita particolarmente il grosso ventaglio di legno appeso al soffitto della sala da pranzo. Mentre i padroni ed i loro osptiti pranzavano, un ragazzino schiavo stava tutto il tempo a tirare su e giù la corda che azionava il pesante ventaglio, e i pranzi potevano durare anche 5-6 ore.

La parte più bella della visita è quando ci hanno fatti uscire dal balcone ad ammirare quella che la guida ha definito "what is arguably the best view of southern US", ovvero il viale di querce, visto dalla casa.

Quando termina la visita, di circa mezz'ora, ha smesso di piovere e noi ne approfittiamo per fare qualche foto allo splendido viale di querce, da cui la Oak Alley prende il nome (il nome originale era Bon Sejours Plantation). Il viale alberato è semplicemente magico, una vera meraviglia. Tempo fa, le querce erano piene di Spanish Moss, che poi è stato eliminato. Non posso che immaginare quale spettacolo possa essere stato.

Passiamo al quartiere degli schiavi, purtroppo velocemente perché siamo, come al solito a corto di tempo. Questa mostra è molto più curata rispetto alla St Joseph. Le baracche sono disposte su due file ai lati della strada che porta alla Big House. Da un lato sono "arredate" in modo verosimile all'epoca, e ci sono dei pannelli informativi sulla condizione dei neri. Dall'altro lato, all'interno sono in mostra degli oggetti di uso comune, nonché gli attrezzi usati dagli schiavi e, soprattutto, gli strumenti di sottomissione e tortura. La stanza più toccante è quella dove sono proiettati i nomi di battesimo degli schiavi (che non avevano un cognome, o prendevano quello del padrone).

Lasciamo la Oak Alley per andare a Natchez. la nostra destinazione finale. Siamo in ritardo di un'ora buona rispetto al mio programma, grazie all'incidente di stamattina,c he ci ha fatto perdere la visita delle 10 alla piantagione. E le cose stanno per peggiorare. Dobbiamo fare circa 250 km, e nell'avvicinarci a Baton Rouge, il traffico si intensifica, e sulle tangenziali attorno alla città perdiamo un'altra mezz'ora nel traffico, e poi troviamo un altro incidente.

Arriviamo a Natchez con un cospicuo ritardo, e la reception del nostro hotel è ormai chiusa. Fortunatamente, mi sono segnata la procedura per il check-in tardivo. Il nostro hotel è la Brandon Hall Plantation, una piantagione oggi convertita in b&b e location per eventi. Si trova a circa 15 km dalla città, lungo Natchez Trace Parkway, la strada panoramica che porta da Nashville a Natchez. La villa è immersa in un parco, con tanto di laghetto, già solo arrivando si avverte un profondo senso di tranquillità.

Grazie alle istruzioni ricevute via email, facciamo il self check-in nella nostra camera, la Sarah-Elise. Una vera esperienza da gran signori! Domani avremo tempo di fare tante foto ed esplorare la casa, adesso siamo molto di fretta perché siamo in ritardo per la visita di Natchez.

Sono un po' arrabbiata per il tempo perso, avevo in mente un sacco di visite da fare qui a Natchez, ma non possiamo fare nulla perché ormai è tutto chiuso. L'idea era di fare un tour del centro e delle ville antebellum. Alcune erano aperte nel pomeriggio, per esempio la Magnolia Hall e la Oak Hill Inn. E poi la William Johnson House, famosa per essere di proprietà di un ex schiavo nero liberato.

Natchez si trova in posizione strategica sul Mississippi, perciò nell'800 attirò i grandi proprietari terrieri, che si insediarono qui con le loro piantagioni, rendendola una delle città più ricche dello stato. L'economia della città declinò rapidamente dopo la Guerra Civile, prima con la fine della schiavitù, ma soprattutto in seguito, con l'avvento della ferrovia, che rese obsoleto il trasporto fluviale.

La leggenda vuole che, durante la guerra civile, la città venne risparmiata dalle razzie grazie alla gentilezza delle donne di Natchez, che invitarono i soldati nemici nelle case a rpendere un tè caldo.

Parcheggiamo all'incrocio tra la Jefferson e la Pearl e cominciamo un tour a piedi, per vedere le ville almeno da fuori, prima che faccia buio. Quando arriviamo davanti alla Choctaw Hall, una delle più belle case storiche, cominciamo a fare delle foto all'esterno della villa. All'improvviso il portone si apre, e compare un ometto anziano e magrolino, che ci fa dei segni.

Io già penso che ci voglia sgridare per via delle foto, invece comincia a farci domande: da dove veniamo, cosa facciamo qui eccetera. Ci dice: "Dai, entrate, siete venuti fin qui dall'Italia, non posso non farvi entrare in CASA MIA" Salta fuori che l'omino in questione è David Garner, proprietario della Choctaw Hall e di altre piantagioni nel Sud, probabilmente un mega-milionario. David è un uomo del sud, orgoglioso e verace. Per lui, gli unionisti sono "them damn yankees", che hanno occupato casa sua durante la guerra di secessione. Il suo accento è marcato, io gli sto dietro, ma Davide non capisce una parola e si limita a sorridere e annuire.

Oggi ho visto ben due piantagioni, più quella in cui dormiremo. Ma la Choctaw Hall le batte tutte a mani basse. All'interno, è la casa più lussuosa che io abbia mai visto. C'è roba dappertutto, collezioni di famiglia da generazioni.

David ci dice che possiamo fare tutte le foto che vogliamo, ma io sono troppo pietrificata e ho paura di urtare qualcosa, ne faccio pochissime e non oso spostarmi dalla piastrella su cui mi trovo. Mentre siamo nella sala da pranzo suona un telefono. Lui si scusa, ci dice che deve rispondere, va oltre la porta che vedete al lato sinistro della foto, prende la telefonata e chiude la porta. Ci lascia lì così, sue estranei nella sua sala da pranzo, in mezzo ad oggetti di antiquariato di valore. Io sono senza parole.

Lui torna, come se nulla fosse, e ci fa vedere il resto della casa. E' particolarmente fiero della scala, che è effettivamente notevole. Ma mi imbarazzavo troppo a fare foto, avevo la sensazione di intromettermi nella sua vita privata. Perché poi ci porta al secondo piano, ci fa vedere la sua camera da letto e il suo bagno. Ogni stanza è strapiena di suppellettili, non vorrei mai essere la sua domestica. Ritratti di famiglia, bauli, di tutto di più.

Torniamo giù e lui addirittura si scusa perché il tour è stato breve! Comincio seriamente a credere alla leggenda della città, risparmiata da Sherman per la gentilezza dei suoi abitanti.

Continuiamo il giro a piedi, ma ormai sta facendo buio ed è impossibile fare il tour di tutte le case, anche solo dall'esterno. Ma quest'esperienza alla Choctaw Hall è stata così appagante che non sento la necessità di visitare altro.

Andiamo al punto panoramico sul Mississippi a goderci il tramonto, è davvero bellissimo. Il Mississippi non è certo il fiume più bello del mondo (lo chiamano Big Muddy proprio per il suo aspetto torbido), ma ha un'innegabile fascino perché, più che un fiume, è un simbolo degli USA.

Per cena, andiamo alla King's Tavern. E' l'edificio più vecchio della città, ed oggi è un ristorante la cui specialità è la focaccia cotta nel forno a legna. E' un locale rustico, ed il personale non è particolarmente gentile, soprattutto il tizio al bancone. Ma è un pezzo di storia della città, ed è bello essere qui. E la focaccia è effettivamente molto buona.

Come ogni locale storico che si rispetti, anche la King's Tavern ha il suo fantasma personale. E' la cameriera, e amante del proprietario, accoltellata dalla moglie di lui. Lo scheletro della donna è stato trovato durante dei lavori di ristrutturazione, murato, e ancora con il coltello piantato nel costato. Almeno, così vuole la leggenda.

Dopo cena, sfidiamo la stanchezza perché io voglio andare all'Under The Hills Saloon, un pub/live music storico di Natchez.

Under the Hills, proprio perché sotto la collinetta sul Mississippi, era la zona malfamata di Natchez, dove andavano i marinai quando le navi a vapore attraccavano nella cittadina. Bordelli, pub di bassa lega, criminalità. Ed era uno dei posti preferiti da Mark Twain ai tempi in cui pilotava i battelli a vapore.

Menter siamo fuori dal saloon a fare foto in notturna e a chiacchierare, attiriamo l'attenzione dei signori seduti fuori dal saloon a bere un birra al fresco. Sono meravigliosi: capello lungo, cappello da cowboy, sigaro in bocca, birra in bottiglia e stivali.

Un signore in particolare ci prende in simpatica, e comincia a raccontarci la storia della città, del fiume, della guerra di secessione. Come vi dicevo, io mi sono documentata prima di questo viaggio. E' fantastico sentire da lui le stesse cose che ho letto nei libri: il fiume che si è mangiato i primi due isolati di Under the Hills quando hanno costruito le dighe, la decadenza in seguito alla fine del trasporto fluviale, Mark Twain che veniva a mangiare qui.... fantastico sentire questi racconti direttamente da un locale

Entriamo, e lui ci invita a sederci con lui e i suoi amici. Stanno allestendo per la musica dal vivo. Il locale è un'accozzaglia di roba: biliardino, flipper, targhe automobilistiche, dollari appesi... ma ha carattere.

Arriva anche un personaggio straordinario. Un ometto anziano, alto forse 1.40, un po' fuori di testa: prende da bere, si siede a un tavolo a caso, si versa la birra, poi qualcuno lo chiama e lui esce. Torna dentro, si dimentica della sua birra, ne prende un'altra e si siede a un altro tavolo. Ogni tanto si ricorda delle birre che ha lasciato indietro, e allora se le versa contemporaneamente nello stesso bicchiere. Il nostro nuovo amico ci dice che è il "matto del villaggio", come diremmo noi. Lo chiamano "leprochaun". Lo chiama, gli dice che siamo italiani... lui risponde solo "yeee-haaa", e le poche cose che dice non le capisco nemmeno io.

Il mio amico vuole sapere tutto di noi: che lavoro facciamo, come andiamo al lavoro. Lui ha fatto lo sceriffo per 40 anni, chiede se anche in Italia c'è questa figura. Gli spiego la faccenda della polizia e dei carabinieri, lui vuole sapere che poteri ha la polizia, com'è la situazione politica da noi. Ci dà dei consigli su cosa fare domani, dove andare, e soprattutto dove non andare, a Clarksdale e Memphis.

Sembra di stare tra amici, questa è la serata più bella della vacanza. Anzi, è la serata più bella di tutti i viaggi fatti finora negli USA. L'ospitalità del sud, il carattere dei suoi abitanti, non sono una leggenda. Ho imparato più questo pomeriggio che in mesi di lettura di libri, e non scambierei questa serata con niente al mondo.

Created By
Valeria Rovellini
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