View Static Version
Loading

La catena umana da Seneca a LEOPARDI E OLTRE: percorsi di solidarietà

Comprendere che il comportamento di uno solo si ripercuote su tutti e che per essere forti è necessario comportarsi come un organismo, essere coesi e solidali senza vedere nell'altro un "nemico" che ci può togliere qualcosa ma un "compagno" da sorreggere ed aiutare nella stessa battaglia, mai come oggi ci sembra così importante, in questi tempi di assedio di un virus che sempre più stanno spostando le frontiere tra noi e gli altri: prima il nemico era il cinese, poi lo sono diventati gli italiani, poi i lombardi. Ognuno si blinda nel suo stato o nella sua regione, talora nella sua città piccola o grande, ognuno cerca inutilmente di erigere muri di separazione e protezione, si chiudono le frontiere, si sequestrano in altri paesi della stessa Europa i mezzi indispensabili di aiuto, si ostacola il presunto nemico anzichè sostenerlo. Quando impareremo che vinceremo solo uniti? Che questa è la battaglia di tutti, di fronte alla quale i nazionalismi non hanno più senso? Tutti fragili ed esposti allo stesso modo ai rischi, alle malattie, alla sorte che improvvisamente ci può spazzare via... Allora diamo un'occhiata ai percorsi di solidarietà della latinità, dove molte voci si sono levate per far comprendere come sia assurdo dividere il mondo in ricchi/poveri, servi/padroni, cittadini/stranieri, perchè tutti, vinti e vincitori, condividono lo stesso panorama di leggi, di diritti, la stessa condizione umana. E poi osserveremo come Leopardi ci abbia parlato della "social catena", di una "catena umana" che unisce profondamente gli uomini e fa di essi un'unica comunità senza barriere.

La parola latina “HUMANITAS” indica il riconoscimento di una comune natura umana che lega gli uomini al di là di nazioni, condizioni sociali, economiche, maggiore o minore grado di parentela. Gli uomini in quanto tali, insomma. Essa è anche usata nella accezione di “cultura”, e in essa infatti si trova il primo fondamento della benevolenza, della cortesia, del rispetto per gli altri che la parola contiene.

"Homo sum, humani nihil a me alienum puto"

La prima formulazione si può ritrovare in Terenzio, quando in una sua commedia un personaggio cerca di dare aiuto al suo vicino, in difficoltà per un problema familiare, dicendogli proprio “Homo sum, humani nihil a me alienum puto”: a questa frase si riconduce Seneca, nella lettera a Lucilio n. 95 , giustificando il fatto che essa esprime al meglio la comunanza degli esseri umani, uniti tra loro come fossero un unico corpo: “siamo le membra di un grande corpo, la natura ci ha creati parenti”, “siamo nati per condividere lo stesso fine”, “siamo come le pietre di un arco che si sostengono a vicenda” e solo così non possono crollare.

"La nostra società è simile a un arco di pietre, che cadrebbero se non si sorreggessero a vicenda"

Humanitas è anche la cultura, che consente di riconoscere un “terreno comune” in chiunque, benchè appartenga a un’altra razza.Importante riconoscere che questa “condivisione” di compiti, di leggi, di valori, è sostenuta anche dalla diffusione dell’impero romano come forma politica che può garantire gli stessi diritti a vinti e vincitori, ormai uniti nella condivisione delle stesse garanzie: appartenere allo stesso stato rende tutti uguali, nessuno è escluso e nessuno è privilegiato: "Non c'è preclusione, non c'è privilegio"

Così infatti si esprime il generale Petilio Ceriale nelle "Historiae" di Tacito, cercando di sedare una rivolta dei Batavi, al confine con la Germania, guidati da Giulio Civile nel 70 d.C., che potrebbero unirsi ai Galli: la Germania rappresenta la mancanza di leggi, la barbarie, e Roma la difesa della civiltà, della pace e del benessere di tutti, dominatori o dominati che siano: “proinde pacem et urbem, quam victi victoresque eodem iure obtinemus, amate colite”: “Amate-dunque- e onorate la pace e la città di cui tutti, vincitori e vinti, siamo cittadini con gli stessi diritti.

Vinti e vincitori condividono infatti con lo stesso diritto e le stesse leggi la stessa pace e la stessa città: una comunità che si fonda sulle garanzie dell’equità e della solidarietà

"Noi, anche se tante volte provocati, abbiamo esercitato il diritto della vittoria, solo per quel tanto che era necessario ad assicurare la pace. Infatti non c’è pace per i popoli disarmati, né si possono avere armi senza stipendi, né stipendi senza (pagamento dei) tributi. Di tutto il resto vi abbiamo fatti partecipi: voi stessi comandate nostre legioni, e voi stessi comandate queste ed altre province. Non c’è né preclusione, né privilegioInfatti, una volta cacciati-Dio non lo permetta! – i Romani, che altro ci sarà, se non la guerra fra tutti i popoli? Ottocento anni di benessere e di ordine hanno cementato il nostro Stato (Roma), che non può essere distrutto, senza la distruzione dei distruttori."

Del resto che Roma avesse il compito di unificare popoli diversi in nome della pace e della comune costruzione di uno stato condiviso, lo aveva ribadito Virgilio nell’Eneide, quando Anchise negli Inferi dichiarava ad Enea: (ENEIDE, VI, 847 – 853):

"Tu regere imperio populos, Romane, memento: hae tibi erunt artes, pacisque imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos

tu, o Romano, ricorda di governare i popoli col tuo comando:queste saranno le tue arti, stabilire una regola della pace,risparmiare gli arresi e sconfiggere i ribelli

E l’ultimo omaggio alla civiltà romana che ha saputo rendere “orbem” quello che prima era “urbem”e ha garantito quindi unità di cultura e solidarietà tra i popoli, viene da Rutilio Namaziano, cantore dell’ultima Roma, nel suo poema “De reditu suo” del 415, quando ormai, costretto a tornare dall'Italia in Gallia, descrive il suo faticoso viaggio di ritorno attraverso una Italia devastata, dove i ponti e le strade sono stati resi impraticabili dalla prime invasioni barbariche: ricordiamo il sacco di Roma del 410 ad opera dei Visigoti. Ma è in difesa di Roma e della sua missione unificatrice del mondo, che si leva la sua voce: non più una città con i suoi confini, ma un mondo intero, alla portata di tutti.

"Exaudi, regina tui pulcherrima mundi, inter sidereos, Roma, recepta polos; exaudi, genetrix hominum genetrixque deorum: Non procul a caelo per tua templa sumus. Te canimus semperque, sinent dum fata, canemus: Sospes nemo potest immemor esse tui. (…) Fecisti patriam diversis gentibus unam; profuit iniustis te dominante capi; dumque offers victis propii consortia iuris, urbem fecisti, quod prius orbis erat." "Ascolta, o regina, tu la più bella del mondo , o Roma, accolta tra i poli del cielo ascolta, o madre degli uomini e degli dei, per i tuoi templi noi non siamo lontani dal cielo: te noi cantiamo e canteremo sempre, sino a che lo concederanno i fati. Nessun uomo, che sia sano e salvo, può dimenticarsi di te.Tu hai fatto per genti diverse un’unica patria: fu gran fortuna per genti ingiuste di essere conquistate dal tuo dominio. Mentre tu offri ai vinti di essere partecipi del tuo diritto, hai reso (un’unica) città quello che prima era il mondo."

"Tutti a se' confederati estima gli uomini" (G. Leopardi, "La ginestra")

Erede di questa convinzione che si possa, anzi si debba, costruire una comune umanità su cui far conto, un arco di pietre che si sostengono a vicenda, e che risolvano i problemi quotidiani con la solidarietà del reciproco aiuto, è sicuramente Leopardi, in uno dei suoi ultimi carmi, “La ginestra”, del 1836, dedicato al fiore che cresce sulle pendici del Vesuvio.

Mentre non esiste ancora uno stato nazionale, o alcuna forma di alleanza tra gli stati europei, il poeta così si esprime, sognando un mondo dove gli uomini saranno uniti dal combattere contro il male esterno, quello che sta nella natura a loro ostile, e finalmente metteranno da parte odii, ire, rivalità; in quel momento gli uomini comprenderanno di essere, come diceva Seneca, un arco di pietre che si sostengono a vicenda, membra dello stesso corpo e non nemici tra di loro. L’ “umana compagnia” capirà prima o poi di essere un esercito in lotta contro un nemico comune, e metterà da parte ogni ostilità: sarebbe stupido per un esercito porre lacci e inciampi ai propri compagni, proprio nel momento culminante dell’assalto. Solo quando tutti comprenderanno questo, allora la "social catena" degli uomini, uniti contro la comune natura, farà nascere un mondo dove i diritti, la giustizia e la pietà avranno basi nuove, condivise ed eque per tutti.

Nobil natura è quella Che a sollevar s'ardisce Gli occhi mortali incontra Al comun fato, e che con franca lingua, Nulla al ver detraendo, Confessa il mal che ci fu dato in sorte, E il basso stato e frale; Quella che grande e forte Mostra se nel soffrir, nè gli odii e l'ire Fraterne, ancor più gravi D'ogni altro danno, accresce Alle miserie sue, l'uomo incolpando Del suo dolor, ma dà la colpa a quella Che veramente è rea, che de' mortali Madre è di parto e di voler matrigna. Costei chiama inimica; e incontro a questa Congiunta esser pensando, Siccome è il vero, ed ordinata in pria L'umana compagnia, Tutti fra se confederati estima Gli uomini, e tutti abbraccia Con vero amor, porgendo Valida e pronta ed aspettando aita Negli alterni perigli e nelle angosce Della guerra comune. Ed alle offese Dell'uomo armar la destra, e laccio porre Al vicino ed inciampo, Stolto crede così, qual fora in campo Cinto d'oste contraria, in sul più vivo Incalzar degli assalti (...). Così fatti pensieri Quando fien, come fur, palesi al volgo, E quell'orror che primo Contra l'empia natura Strinse i mortali in social catena, Fia ricondotto in parte Da verace saper, l'onesto e il retto Conversar cittadino, E giustizia e pietade, altra radice Avranno allor che non superbe fole.

Uno degli esempi più recenti nella storia europea degli ultimi decenni di questa "catena umana" che ha unito migliaia di uomini per un movimento di protesta politica è la Baltic Way del 1989

Il 23 agosto 1989, diversi milioni di residenti delle repubbliche baltiche sovietiche – Estonia, Lettonia e Lituania – organizzarono la più grande protesta pacifica mai avvenuta nell’Urss. Prendendosi per mano, formarono una catena umana che collegava le tre capitali baltiche: Tallinn, Riga e Vilnius. Con una lunghezza di oltre 600 chilometri, la catena umana è entrata nel Guinness dei primati come la più lunga della storia.

I partecipanti erano convinti che dal momento che l’inclusione degli Stati baltici nell’Unione Sovietica nel 1940 era avvenuta attraverso la forza, l’attuale governo sovietico, le sue leggi e la sua costituzione fossero illegali sul territorio degli Stati baltici. Quindi, credevano che Lettonia, Lituania ed Estonia avrebbero dovuto ripristinare automaticamente la loro sovranità entro i confini del 1940.

La dimostrazione della Catena Baltica riunì circa 2 milioni di persone, ovvero circa un quarto della popolazione delle repubbliche baltiche all’epoca. La Baltic Way culminò alle sette di sera, quando le persone lungo la catena umana si unirono per 15 minuti. Coloro che non poterono partecipare all’evento principale formarono centinaia di piccole catene di solidarietà

Created By
rossana levati
Appreciate
NextPrevious

Anchor link copied.

Report Abuse

If you feel that the content of this page violates the Adobe Terms of Use, you may report this content by filling out this quick form.

To report a copyright violation, please follow the DMCA section in the Terms of Use.