Francesco Petrarca visse nel Trecento, in un'epoca ancora medievale, ma presenta dei caratteri innovativi che lo fanno considerare un autore moderno:
- diede inizio e spinta alla cultura umanistica con il suo grande amore e la conoscenza degli autori classici, soprattutto latini
- fu un intellettuale di professione, vivendo presso signori dell'epoca per i quali non doveva svolgere altri incarichi
- non si interessò alle questioni politiche pensando che un uomo di cultura dovesse esserne estraneo
Con il termine “Umanesimo” si definisce un movimento culturale sviluppatosi dalla fine del ‘300 fino a poco oltre la metà del ‘400. Si tratta di un’esperienza culturale in primo luogo italiana, che ha il suo centro di massima fioritura a Firenze, già punto di riferimento della vita letteraria della penisola dalla fine ‘200. Anche altri centri italiani, come Milano, Venezia, Roma e Napoli, hanno un ruolo determinante per lo sviluppo di nuovi ideali intellettuali e filosofici, che a loro volta stimolano un’attività culturale e letteraria del tutto rinnovata. L’Umanesimo, oltre che essere una premessa determinante per il Rinascimento, diviene un modello per tutta l’Europa, con esiti notevoli soprattutto in Inghilterra, Francia e Spagna.
Proprio la voce “umanesimo” suggerisce alcuni fattori chiave della visione degli intellettuali quattrocenteschi, rispetto alla quale appare centrale una rinnovata fiducia nelle capacità e nelle possibilità dell’uomo. In netto contrasto con la cultura medievale, dominata da una prospettiva verticale, per cui l’uomo guarda fuori e sopra di sé alla ricerca del divino (screditando quindi l’esperienza terrena), l’erudito rinascimentale crede nella capacità umana di autodeterminarsi ed essere artefice della propria sorte. L’uomo cioè ha la possibilità e il dovere intellettuale di comprendere il mondo che lo circonda e di modificarlo secondo i propri fini: da questa tensione alla conoscenza, che distingue la natura umana rispetto a quella animale, rinascono gli studia humanitatis, che traggono un’essenziale linfa vitale dalla riscoperta dei classici latini e greci.
LA VITA
- 1304 Nacque ad Arezzo, il 20 luglio, da una famiglia di notabili, appartenenti ai guelfi bianchi.
- Nel 1309 Il poeta si trasferì con la famiglia ad Avignone dove era stata spostata la sede pontificia e qui iniziò gli studi di Legge.
- Si trasferì a Bologna per continuare a studiare Giurisprudenza, ma abbandonò e prese i voti negli ordini minori diventando chierico. Questo gli permise una sicurezza economica e la libertà di dedicarsi alla letteratura e allo studio dei classici.
- Viaggiò in molte regioni europee al seguito di cardinali e nobili, ma tornò spesso a Valchiusa, presso Avignone, il suo rifugio "del cuore".
- Nel 1341 fu incoronato poeta in Campidoglio, a Roma
- Nel 1353 si trasferì in Italia, soggiornando nelle corti di Milano, Padova e Venezia.
- Gli ultimi anni della sua vita visse ad Arquà, dove morì nel 1374.
LE OPERE
Per comprendere le opere di Francesco Petrarca occorre premettere che ci troviamo di fronte a una figura di intellettuale estremamente diversa, e nuova, rispetto ai precedenti più prossimi, ovvero rispetto a Dante e Boccaccio che erano vissuti in una dimensione comunale.
Petrarca ebbe, invece, una vita estremamente movimentata, fu un uomo pubblico, un intellettuale versatile che ebbe la possibilità e la volontà di muoversi sia nel mondo religioso che nel mondo comune, affiancando a fasi di studio intenso e solitario momenti di maggiore relazione con il mondo anche politico, con la realtà delle corti e delle Signorie.
Fu un uomo di sostanziale scaltrezza, capace di assumere incarichi ecclesiastici non per vocazione quanto allo scopo di garantirsi tranquillità economica e incarichi diplomatici che gli concedevano una maggiore libertà rispetto alla figura dell’intellettuale di corte profondamente legato a un mecenate.
La maggior parte delle opere di Petrarca sono scritte in latino, ad eccezione del “Canzoniere” e de “I trionfi”, scritti in volgare. È possibile distinguere opere religiose e morali, opere umanistiche e opere poetiche.
Il “Secretum” (1342-1343): frutto di una profonda crisi religiosa, è un dialogo filosofico che mette in scena l’interiorità divisa del poeta, il suo "discidium" ovvero il suo tormento interiore, il suo sentirsi diviso tra le ambizioni terrene e la sfera spirituale, tra l'amore per Laura e per la gloria e il desiderio di essere un bravo cristiano. Nel Secretum lo stesso Petrarca si confronta con Sant’Agostino; al loro confronto, che dura tre giorni, assiste una donna bellissima che è allegoria della verità. Il santo rappresenta la coscienza alta che scruta nell’animo inquieto del poeta, accusandolo di avere una volontà fragile. Il dialogo si conclude con una considerazione della gloria terrena e dell’amore per Laura: mentre il poeta le considera due passioni positive, il santo le giudica delle distrazioni che allontano dalle cose divine.
Anche il “De vita solitaria” (1346, rielaborato successivamente tra il 1353 e il 1366) è un testo di carattere meditativo che esalta la solitudine e la vita ascetica in particolare. Petrarca difende una solitudine differente da quella rigida degli eremiti, considerandola un momento ricco di conseguenze perché consente di arricchire la propria anima attraverso lo studio e l’allontanamento dalla vita mondana: in questa condizione l’uomo, in realtà non è mai solo perché è sempre accompagnato dal libro e dalla cultura classica.
Il profondo interesse non solo e non tanto personale, quanto piuttosto professionale, per la letteratura antica si manifesta nelle opere umanistiche. Mentre nell’opera dantesca è ancora presente una commistione tra la cultura antica e quella medievale (Virgilio è guida di Dante nel suo viaggio ultraterreno), Francesco Petrarca è consapevole di una cesura netta tra presente e passato, una distanza che impone di studiare il secondo con in modo preciso, con quel metodo filologico che, poi, sarà affinato e praticato anche dagli umanisti della generazione successiva. Petrarca è, dunque, filologo perché animato da un profondo amore per la parola e per i testi antichi, ne ricostruisce la storia e la genealogia, cercando le fonti originali dei testi antichi: questo metodo lo portò a scoprire codici antichi dove erano presenti lettere di Cicerone fino ad allora sconosciute.
Il filologo è colui che si occupa di filologia: lo studio dei documenti antichi con l'obiettivo di ricostruirne la loro forma originaria.
La passione per i testi antichi porta Petrarca a comporre opere quali:
- le “Epistole” - le Lettere (1345-1361), suddivise in quattro gruppi (Familiares, Seniles, Sine nominae e Variae): fornisce un ritratto ideale di se stesso ma anche del poeta, figura caratterizzata da apertura, liberalità, passione per lo studio, capacità di alternare otium e negotium.
- il “De viribus illustribus” (1338-1358): realizzata sul modello delle raccolte classiche di Svetonio e San Girolamo, è a tutti gli effetti un’opera storica perché colleziona biografie di illustri personaggi romani.
- l’“Africa” (1339-1342): può considerarsi anche questa un’opera storica, un poema epico in esametri, dedicato alla seconda guerra punica.
IL CANZONIERE
Sono però le opere poetiche, scritte in volgare, che consentono a Petrarca di raggiungere gli esiti più alti della sua produzione e sono quelle che gli hanno garantito una fama più duratura nel tempo.
Il “Canzoniere” (ultimato nel 1374, al quale Petrarca lavorò per gran parte della sua vita con continue revisioni) era considerato dal poeta un’opera di scarsa importanza (il titolo originale era Fragmenta rerum volgarium: Frammenti di cose volgari). La scelta del volgare è qui motivata dalla volontà di competere con gli stilnovisti, adottando la loro stessa lingua, seppur in una versione estremamente raffinata: rispetto a Dante quello di Petrarca è un linguaggio più piano ed equilibrato che evita sperimentalismi ed espressioni colorite.
E' in realtà un’opera molto complessa di 366 componimenti (317 sonetti a cui si aggiungono canzoni, ballate e sestine) dove viene cantato il dissidio interiore del poeta ma anche la passione, tutta umana e terrena, benché inappagata, per Laura.
- sonetto: forma metrica composta da due quartine e due terzine di endecasillabi
- canzone: componimento poetico originariamente accompagnato dalla musica. E' composta da endecasillabi e settenari organizzati in strofe dette "stanze". In genere si conclude con un congedo.
È possibile, comunque individuare dei nuclei tematici portanti:
- l’amore per Laura,
- la spiritualità attraverso la solitudine,
- le liriche politiche e quelle religiose,
- la descrizione fisica di Laura
Anche se quello cantato è anche un amore fisico e sensuale, connotato da descrizioni fisiche, rispetto a Dante nel Dolce Stilnovo con Beatrice, Laura assume sempre più chiaramente un valore simbolico, lo stesso nome rimanda direttamente al lauro (pianta con cui erano coronati i poeti).
La lingua, metricamente perfetta e ricca di figure retoriche quali l’allegoria, è lo strumento privilegiato per raggiungere quel valore unico e assoluto che deve fungere da contraltare al caos del mondo e dei sentimenti.
- uso ripetuto di alcuni vocaboli
- preferenza per periodi ampi con molte subordinate
- uso di figure retoriche
Il Canzoniere diventerà un MODELLO di stile e lingua poetica al punto che si arriverà a parlare di PETRARCHISMO: i poeti dei secoli successivi si sforzeranno di scrivere "al modo" di Petrarca.
Tradizionalmente la raccolta si divide in 2 parti:
- rime in vita di Laura (scritte prima della sua morte, avvenuta forse nel 1348 durante l'epidemia di peste)
- rime in morte di Laura (scritte dopo la morte della donna)
Ricorda: la storia d'amore, non ricambiato, narrata da Petrarca non riguarda fatti precisi ma la descrizione dei sentimenti che l'amore suscita nell'animo del poeta (gioia, tenerezza, malinconia, dolore). L'interiorità del poeta è la protagonista del Canzoniere, il suo cammino di uomo e di poeta.
Accanto al “Canzoniere” occorre ricordare anche i “Trionfi” (composti tra il 1340 e il 1342 e rielaborati fino alla morte, anche se mai portati a temine), un poema allegorico in terzine, scritto in volgare.
PARAFRASI DISCORSIVA
Solo e pensieroso percorro a passo lento i più deserti campi e tengo gli occhi attenti affinché io possa fuggire i luoghi segnati da piede umano. // Non trovo altro riparo per salvarmi dal fatto che la gente comprende (=il poeta si riferisce alla comprensione del suo stato interiore), perché negli atti privi di allegria si legge esteriormente come io dentro ardo;// tanto che io credo ormai che sia i monti, le pianure, i fiumi e i boschi sappiano di che tenore sia la mia vita, che è nascosta agli altri. // Ma tuttavia non so cercare vie così impervie e solitarie che Amore non venga sempre a parlare con me ed io con lui
L'anno di pubblicazione è precedente al 1337 e fa parte della raccolta Il Canzoniere.
Il componimento è costituito da due quartine e due terzine, tutte di endecasillabi, ed è perciò un sonetto. I versi sono legati tra loro da uno schema di rime ABBA ABBA CDE CDE.
Tra i principali fenomeni metrici riconosciamo la sinalefe so/lo et/; tar/di et/; gio hu/. Tra le figure metriche vediamo l'enjambement, l'assonanza e l'allitterazione.
FIGURE RETORICHE
- metafora: v.2; v. 8: “vo mesurando”; “com’io dentro avampi”
- iperbato: v.3: “et gli occhi porto per fuggire intenti” (ricostruzione: et porto gli occhi intenti per fuggire)
- personificazione: vv. 13-14: ”ch’Amor non venga sempre/ragionando con meco, et io co°llui”
- allitterazioni sono presenti nella lirica(v.1) abbiamo l'iterazione della sillaba "so", rafforzata dalla "s" di deserti. Nell'ultimo verso invece si ripete la sillaba "co" in con meco et io co llui; i gruppi consonantici "mp" o "nt",
- Diverse antitesi come di fuor…dentro (v.8), spenti…avampi (vv.7-8), sottolineano il contrasto tra la pena d'amore intima del poeta e gli atti esteriori. Fortemente antitetiche sono l'espressione iniziale solo et pensoso (v.1) e quella finale ragionando con meco et io co llui (v.14), in cui si evidenzia il dissidio tra la solitudine; A sua volta l'aggettivo spenti, correlato a di fuor (v.8), è in antitesi con avampi (v.8)
Antitesi: figura retorica che consiste nel contrapporre a una parola o a un concetto il suo contrario, allo scopo di dargli maggiore risalto (non bello, ma brutto; non buono, ma malvagio)
Anastrofe: inversione dell'ordine abituale di due parole di un gruppo: tecum, mecum anziché cum te, cum me; questa bella d'erbe famiglia e d'animali (Foscolo).
Iperbato: Interruzione dell'ordine consueto della frase o del periodo, in vista di effetti stilistici particolari: per es. Oh! belle agli occhi miei tende latine! (Tasso).
COMMENTO
Solo et pensoso, scritto nel 1337, è uno dei sonetti più famosi dei Rerum vulgarium fragmenta di Petrarca, che prenderanno poi successivamente il nome – Canzoniere. Petrarca conferisce al Canzoniere una struttura organica, ordinando i singoli microtesti in una struttura dotata di un suo significato complessivo.
Protagonista del Canzoniere di Petrarca è sì Laura, ma soprattutto Petrarca stesso e gli effetti che il suo amore per Laura produce nel suo animo. L’amore, che caratterizza l’opera ed il poeta, è un amore tormentato, che investe sia l’anima che il corpo. È un amore oscillante tra la passione dei sensi e il vagheggiamento ideale. Un amore inteso come traviamento, da cui il poeta spesso vuole liberarsi per poi però ricadere nel vagheggiamento e nella preghiera.
La natura tormentata di questo amore è evidente nel sonetto Solo et pensoso. La retorica che il poeta utilizza è quella tipica degli opposti: antitesi, anastrofe, iperbato;
Nel componimento, che procede lento a causa dell’accentazione dilatata (che rimarca a livello metrico i “passi tardi et lenti”), il poeta è tutto intento alla fuga, alla volontà della solitudine per non divenire oggetto, a causa del suo stato interiore (rimarcato dalla metafora del v.8 “dentro avampi”), del vociare della gente. Il gioco degli opposti è evidente in particolare nell’antitesi del v.8 (“di fuor si legge com’io dentro avampi”), dove l’effetto del sentimento amoroso è giocato tra esteriorità, che rivela il sentimento, e l’interiorità del poeta, che arde nella passione dell’amore.
Nel componimento è quindi evidente come il sentimento amoroso venga vissuto come traviamento dell’animo, come tormento; ed è naturale conseguenza la fuga, non solo dalla gente, ma anche, per certi versi, dal sentimento amoroso stesso. La ricerca della solitudine costringe il poeta a vagare nella natura che, caratterizzata da un paesaggio deserto e segnato solo da pochi riferimenti indeterminati, diventa parte integrante dell’Io lirico, manifestazione del suo tormento. Una solitudine che però, è evidente nell’ultima terzina, non si realizza, poiché l’Io del poeta viene affiancato dall’onnipresente Amore (sentimento in questo componimento, come sarà in tanti altri, evidentemente tirannico) che, personificato come in tutta l’opera, dice il poeta, “venga sempre ragionando con meco”.
CONFRONTO CON ALTRI TESTI
È il sonetto proemiale della raccolta, scritto probabilmente intorno al 1350 e quindi posteriore alla morte di Laura, come dimostra il fatto che l'autore guarda in modo retrospettivo al suo amore infelice: Petrarca lo definisce un "giovenile errore" dal quale si è in parte liberato con la maturità, consapevole di essere venuto meno alla sua dignità di intellettuale e di essersi esposto alle derisioni del mondo, con una concezione classica che rimanda forse al carme 8 di Catullo. La raffinatezza retorica della costruzione impreziosisce la lirica, che apre il "Canzoniere" con uno stile decisamente elevato e ricercato.
Credits:
Creato con un’immagine di Bjorn Snelders - "untitled image"